Recensione: Vivere al buio, di Mauro Marcantoni
Provate a tenere gli occhi chiusi per qualche minuto, oppure addentratevi in Cene al buio o Dialoghi nel buio… al termine di queste esperienze avrete compreso cosa significhi “non vedere” ma continuerete a distare anni luce dall’aver capito, seppur in parte, la cecità.
Perché la cecità, raccontata da Mauro Marcantoni in Vivere al buio. La cecità spiegata ai vedenti non ha una data di scadenza, non è un gioco temporaneo a mosca cieca: è quella condizione di vita che fa sì che quando tutti gli altri si alzano da tavola e tornano a casa, quando escono dal percorso oscuro e restituiscono il bastone bianco, il non vedente invece rimane lì, al buio, e continua a vivere così, insieme alle ombre.
Ed è proprio un cieco, Mauro Marcantoni, con stile fluido e competente, a fare da Cicerone a noi vedenti in questo viaggio alla scoperta del buio:
Ora, forse, ti senti un po’ spaesato: l’idea che sia un cieco e non un “esperto di ciechi” a spiegarti come rapportarti a loro, ti sembra bizzarra. Sarebbe come se fosse un malato mentale a spiegarti come comportarsi con lui. “Di solito è un medico a dire cosa si deve fare, un professionista”.
Come se la cecità fosse una malattia.
Per le malattie si sta male, si guarisce, oppure si muore. I ciechi, invece, possono stare meglio, non guariscono, ma continuano a vivere.
Un itinerario che conduce alle porte del futuro, passando attraverso le prove dello scontro, della misura, della comprensione reciproca. Premio finale la ricerca della felicità… perché spesso, come affermava Antoine de Saint-Exupéry, l’essenziale è invisibile agli occhi, e la realtà può essere guardata e scoperta ogni giorno anche da chi non possiede la vista.
Io, dietro questi occhi inutili, talvolta mascherati dagli occhiali scuri che stigmatizzano simbolicamente la mia cecità, ci sono. Sono una persona, Prima ancora di avere un nome e un cognome, prima ancora di essere cieco, sono una persona con la sua complessa natura, con i suoi pensieri, con il suo carattere, con la sua storia, con le esperienze vissute, con i suoi sentimenti, affetti, desideri, opinioni, delusioni, gioie, dolori, passioni. Sono ricco, almeno quanto te, di vita. Non ci vedo, ma questo non mi impedisce di pensare, credere, amare, lavorare e vivere le mie giornate nel più intenso modo possibile. Quindi, regola numero uno: non pensare a me come a qualcosa di diverso da una persona.
Non esistono ciechi che non siano persone. Nemmeno quelli più giovani o quelli che rivendicano la propria identità con meno forza.