Manuale di solitudine, di Giampaolo Rugarli
Si chiama “Le Colonne d’Ercole” il condominio dove si svolgono le vicende descritte nell’ultimo romanzo di Giampaolo Rugarli, Manuale di solitudine, uscito postumo per quelli di Marsilio. È uno stabile dal nome corposo e ambizioso, un indirizzo di prestigio (“Abitare nel complesso […] non significava esserci, ma essere), costruito al passo con gli ultimi ritrovati della tecnica ma che, esteriormente, ha più l’aspetto di un castello antico: più muri che finestre, pietre a vista, una fortezza piuttosto che una casa. Proprio questo fortilizio, così apparentemente inespugnabile, il cui aspetto suggeriva che il miglior modo di vivere è chiudersi, diventa teatro di un male interiore che si consuma nelle sue viscere: accade così che i bambini precipitino dalla terrazza, che le giovani donne vengano uccise dalla anafilassi e che le signore restino folgorate nella vasca da bagno. Per fare un esempio.
Di questi fatti ce ne parla Francesco Giardino, professore in pensione che ci presta i suoi occhi e il suo sentire per barcamenarci tra queste pagine. Francesco, che ha sposato una giovane moglie per tentare di sfuggire alla solitudine; Francesco, che in realtà ama la solitudine in modo quasi esasperato – “Sono un solitario e con la solitudine mi drogo: la solitudine è la mia estasi ma pure la mia distruzione”; Francesco, che promette il suo eterno sentimento a una donna inesistente – “Intorno a me avevo disegnato un cerchio e vivevo in quel cerchio. Perciò ero stabilmente innamorato di una la cui attrattiva principale era l’impossibilità che ci separava”.
Al suo fianco una schiera di personaggi dagli eccessi quasi caricaturali, ma estremamente umani nelle loro intime incoerenze e tutti, a proprio modo, soli. Come il portinaio, Nicola Atroce, che ama filosofeggiare sulle cose umane ma distaccarsene perdendosi tra le stelle col suo cannocchiale, perché come lui stesso afferma: “Le sciagure le portano gli uomini. Il cielo è innocente. La sua immensità è la stessa che si nasconde dentro di noi, solo che noi non ce ne accorgiamo”.
Il piacere che Rugarli ci regala in questo atipico romanzo noir è il dubbio che si insinua tra gli opposti e l’incertezza, ovvero una continua riflessione sugli equilibri precari tra l’inespugnabile e la fragilità, la paura della solitudine e il rifiuto di abbandonarvisi, l’incalzare della morte e il desiderio di sopravviverle, tra la fantasia, i sogni e la realtà.
Giampaolo Rugarli ci ha lasciati lo scorso dicembre e Manuale di solitudine, come scrive Cesare De Michelis in prefazione, assume un valore simbolico tanto per il suo percorso letterario quanto esistenziale. Sulla morte uno dei personaggi del romanzo afferma: “Vorrei che tu non facessi una tragedia. Non so se ne abbiamo mai parlato, ma tu hai un’idea esagerata della morte. La morte degli altri non ci riguarda, e la nostra mette fine alla solitudine, all’abbandono. Rende visibile qualche cosa che è già in atto, giorno per giorno. Questa valle di lacrime.”