Il leone d’oro, di Wilbur Smith
Mare d’Arabia, diciottesimo secolo. Il terribile Gran Mogol e suo fratello minore, il sultano Jahan, hanno messo gli occhi sul fertile e cristianissimo regno di Etiopia, situato molto più a nord di Zanzibar, e intendono invaderlo per sottomettere la popolazione e per rubare la più importante reliquia della cristianità ivi contenuta: il sacro Graal.
Ma l’impero di Etiopia ha due difensori di eccezione, ovvero la bellissima e terribile guerriera Judith Nazret e il coraggioso capitano Hal Courtney che, con le loro prodezze e capacità, sono decisi a impedire l’avanzata araba nel continente africano. Tuttavia, quando il sultano Jahan ritrova il suo più potente guerriero, il mercenario scozzese Angus Cochran, in fin di vita e il suo esercito spazzato via dai due coraggiosi difensori, la sua ira è terribile. Rimesso in sesto Cochran, se pur solo in modo parziale, dalle sue orrende mutilazioni, il sultano decide di trasformarlo in una creatura immonda in grado di incutere odio e rabbia nel mondo e lo sguinzaglia sulle tracce degli antichi avversari perché lo scozzese li trovi e li porti a Zanzibar dove li attende la giusta punizione per aver sfidato Jahan.
L’Avvoltoio, questo sarà il nuovo nome di Cochran, è però deciso a non farsi sottomettere e umiliare dallo sceicco orientale. Troverà sì Courtney e la sua amata Judith, ma si vendicherà dei due a modo suo e secondo le sue leggi.
La voce di Hal grondava disprezzo quando domandò “è così che vi piace sedurre le donne, minacciandole di violenza se vi si negano?”. L’atteggiamento di Jahan, fino a quel momento improntato a una signorile amabilità, divenne di colpo gelido “dovete essere o molto audace o molto sciocco per azzardare una simile insinuazione. Potrei uccidervi per questo” “Mi farete uccidere comunque, non ho dubbi, se è quello che desiderate” replicò Hal.
Cosa mi ha sorpreso di più di Wilbur Smith ne Il leone d’oro (Longanesi, traduzione di Sara Caraffini) non è stata solo la maestria che lo caratterizza né la trama appassionante o lo stile scorrevole e facilmente godibile. Non è stato nemmeno l’aver messo sulla scena dei personaggi di qualità o l’aver saputo dosare con grande abilità suspance e narrazione. La cosa che mi ha sorpreso di Wilbur Smith è che, malgrado scriva da oltre cinquant’anni, malgrado abbia dato alle stampe numerosi testi, resta sempre un autore di altissimo livello e di grandissima capacità che non sbaglia un colpo. I suoi libri sono sempre di una bellezza straordinaria, quasi spaventosa, e la sua capacità narrativa non cessa mai di stupirmi. Dopo questo primo, personale, commento vi presento le nuove avventure della famiglia Courtney d’Africa, che proseguono da dove erano state lasciate circa quindici anni fa, quando venne dato alle stampe Uccelli da preda. Passa il tempo ma il destino si accanisce nuovamente contro il giovane Hal Courtney che, dopo aver perduto il padre, ingiustamente giustiziato sotto una falsa accusa, si ritrova prigioniero e in procinto di perdere la giovane e amatissima moglie e il figlio non ancor nato a causa dell’odio viscerale provato dall’infernale personaggio incarnato nella figura dell’Avvoltoio, un mercenario reso ancora più spaventoso. Forse qui il grande Smith ha reso omaggio all’opera di Dumas, vista la maschera in pelle che l’Avvoltoio è costretto a portare su viso deforme.
Un libro affascinante, perfetto nelle sue ricostruzioni storiche e mirabilmente narrato che sicuramente sarà in grado di catturare l’attenzione di tutti i lettori. Un libro da sogno.