La misura della felicità, di Gabrielle Zevin
Emblematica, romanticizzata ma anche ‘fedele’ all’essenza del romanzo è la traduzione del titolo del penultimo lavoro di Gabrielle Zevin, The Storied Life of A.J. Fikry, reso in italiano con La misura della felicità. Ed emblematico è il nome del personaggio principale, A.J. Fikry, un libraio appassionato, scontroso ed estremamente selettivo nelle sue preferenze letterarie, con una predilezione per i racconti brevi e una malcelata avversione per tutto ciò che non gli aggrada. “Fikry” infatti richiama la parola inglese “freaky” (una scelta che non può essere casuale) ovvero strampalato, strano, eccentrico.
La trama del libro è scorrevole e ben costruita. A.J. è il proprietario dell’unica libreria di un’isola del New England e non sembra un caso che il romanzo si svolga su un’isola, con tutte le metafore di distacco e selettività che il concetto richiama. All’inizio della storia A.J. ha appena perso la moglie, vive da solo, sta andando alla deriva e ha gusti letterari e ‘umani’ molto definiti: per quanto ami i libri, non gli piacciono gli scrittori, che in genere reputa dei narcisisti, ed evita di incontrarli perché teme possano interferire con l’idea che lui si è fatto di quanto hanno scritto di apprezzabile.
Numerosi gli spunti che fanno sorridere e aggiungono levità a una lettura già molto leggiadra (come l’acronimo utilizzato per i concittadini con buone intenzioni, W-MT ovvero “well-meaning townie”, e il dialogo che ne deriva); o che ispirano un sorriso un po’ più amaro provocato dal constatare che A.J. è percepito come strano non solo perché di fatto lo è ma anche perché c’è qualcosa di straniero in lui: A.J. è infatti originario del New Jersey ma ha i tratti somatici di un indiano, nonché un “cuore da porcospino”!
Il dramma, il movimento nella trama, avviene quando A.J. subisce il furto dell’unico oggetto prezioso che possiede: una delle cinquanta copie esistenti del Tamerlano e altri poemi, poema epico pubblicato da Edgar Allan Poe con lo pseudonimo “Un bostoniano” all’imberbe età di 18 anni. Quel furto dà inizio alla storia, alla parternità di A.J., alla sua amicizia con il capo della polizia locale e al suo ammorbidirsi tanto da ritrovare l’amore.
Ma protagonisti indiscussi del romanzo sono i libri. Ogni capitolo si apre con il titolo di un racconto e il breve commento di A.J., spesso dedicato alla figlia Maya. Tali commenti offrono anche squarci illuminanti della sua personalità nei quali, come da copione e come spesso nella vita, Fikry si rivela un uomo attento e molto solido nel suo esserci per le persone che ama, nonostante le sue idiosincrasie. A.J. è una persona sulla quale si può contare, a differenza dell’affascinante antieroe Daniel Parish, uno scrittore attraente ed evanescente come il vento, soprattutto nei confronti della moglie.
I racconti brevi citati all’inizio di ogni capitolo spaziano da Cosciotto d’agnello, breve storia di impianto poliziesco a cura di Roald Dahl, a La fortuna del campo rugghiante di Bret Harte (dove A.J. commenta affermando che il nostro modo di reagire alle stesse cose cambia nel corso degli anni e che ci imbattiamo in determinate storie in un punto preciso della nostra vita) passando per una novella di Francis Scott Fitzgerald intitolata Un diamante grosso come il Ritz che A.J. trova un po’ troppo rifinita, laddove le storie brevi di Fitzgerald sono in genere “più ampie, più disordinate”.
La misura della felicità è una gradevolissima e selettiva bibliografia della letteratura in lingua inglese. Il romanzo è letteralmente tempestato di riferimenti letterari persino nel nome di uno dei ristorantini locali o del cocktail sorseggiato da uno dei personaggi. Dall’inizio alla fine la storia di A.J. è un romanzo sull’amore per i libri e sulla riconoscenza per le persone che fanno nascere e alimentano quell’amore, sulla passione per la lettura e quindi per le parole che consentono di alleggerire l’intensità dei sentimenti. Ma cosa rimane quando le parole vengono a mancare?
Alla fine del libro A.J. brancola in un buio verbale quasi totale e si sforza nel tentativo di riassumere in un’unica parola la vita e il suo senso ultimo. Alla fine riesce a trovare quell’unica parola. Ma che sua figlia Maya l’abbia compresa o meno, A.J. la sua missione l’aveva già compiuta ben prima che le circostanze gli ‘imponessero’ di lasciare una memorabile eredità morale. Maya diventerà una scrittrice — A.J. ne è sicuro — ma è il percorso di vita e di lettura che lui ha condiviso nel corso degli anni con sua figlia che dà un senso a quell’ipotetico, seppur probabile, punto d’arrivo.
Il libro si chiude in circolo. La vita dà, scorre, toglie e prosegue. E le cose belle ed essenziali crescono e si evolvono, ma soprattutto rimangono, seppur in forme diverse dal loro punto di origine.