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Dimenticare uno stronzo, di Federica Bosco

Dimenticare uno stronzo
Dimenticare uno stronzo

È finito e già mi manca. Ecco: io sono il tipico, fulgido esempio calzante che c’entra in pieno con il nuovo libro della superba penna di Federica Bosco: Dimenticare uno stronzo – Il metodo detox in 3 settimane (ed. Mondadori). Sono una dipendente dalle dipendenze che si lega, che cerca, che scava, sempre costantemente bisognosa di conferme, attenzioni, sempre piena di piccole grandi mancanze-voragini.

Ma non è di me che parliamo, solo del fatto che come me ce ne sono tante, tra tutte per tutte quelle la leggono, Federica Bosco, che non è la scrittrice che ti dedica il manuale con l’aria di una professoressa che dall’alto della sua cattedra-cattedrale ti vuole cambiare la vita; Federica è l’amica che ha passato esattamente quello che hai passato tu e che ha cercato di affrontarlo e affrontarsi.

Il risultato è il racconto che ci regala, il manuale che ci servirà a mettere qualche cerotto sul cuore e sull’anima cercando di risanare le nostre ferite senza andare a rincantucciarci come si faceva con le ginocchia sbucciate da bambine. Perché dopo una caduta curiamo il corpo, e allo stesso modo dovremmo curare anima e cuore dopo l’ennesima caduta nella sfera sentimentale. E ancora: dopo ogni ricaduta curarci di noi fino ad arrivare alla consapevolezza che quello lì, quello che chiaramente a stilizzate lettere ritroviamo già in copertina, quello Stronzo lì, spesso non ha che l’unica e sola colpa di essere così com’è, e se c’è una colpa nell’intrecciare la sua vita alla nostra per un po’ – se di colpa si tratta – forse un bel po’ tocca a noi assumercela. Per come siamo, per le debolezze che abbiamo raccolto nel passare dall’infanzia all’adolescenza, per il nostro sentirci diverse, talvolta disadattate, delle creature diventate ormai adulte, donne, ma che magari adottano lo stesso medesimo approccio verso gli altri, quello di bambine a cui manca una base per costruire un presente all’altezza. Un’altezza che – badate bene – non è quella che si misura spalla a spalla con gli altri, usati come termine di paragone per aspettative e confronti, ma un’altezza che è interiore e si misura in ciò che sentiamo di meritarci.

È passato poco dall’ultimo abbraccio stretto tra le righe di Tutto quello che siamo (ed. Mondadori) e anche qui,  tra le pagine di Dimenticare uno Stronzo – Il metodo detox in 3 settimane (ed. Mondadori), ritroviamo in fondo la stessa schietta verità, le stesse ferite che prima o poi toccano a tutte, che bisogna curare, che pesano addosso come una grossa cappa della quale hai necessariamente bisogno di liberarti.

La scrittura della Bosco è sempre nuova, nonostante abbia la stessa radice e la stessa brillante visione molto realistica della realtà, lo stesso modo di essere totalmente schietta, priva di finzioni. Le parole sono frutto di conoscenza, competenza, studio, passaggio passato sul corpo. Si sente la verità ed è questo che caratterizza l’autrice e quello che contraddistingue i suoi lettori: si fidano di lei e credono nei suoi consigli come crederebbero a quelli dell’amico di una vita. Nonostante la sua capacità di rinnovarsi, il lettore sa che ritroverà la stessa scrittura sincera, ironica e intelligente che è il tratto caratteristico di ogni romanzo di questa autrice.

In Dimenticare uno Stronzo – Il metodo detox in 3 settimane, veniamo afferrati ben stretti per le spalle e scossi, prima con dolcezza – perché è così che ci conquista -, poi con la promessa che nulla sarà facile, che lei sarà per noi come il sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket: ci terrà d’occhio quando avremo la tentazione di cedere e ci ascolterà quando prometteremo che “basta, è finita… solo l’ultima occhiata al profilo-accesso-Whatsapp…”. Perché di questo si tratta: di quello che ci accade quando ci imbattiamo nel fatidico simil amore della vita, amore solo a senso unico, che ci avvelena, che ci ingoia, dal quale cerchiamo di liberarci. E tra queste pagine, tra esperienze di vita vissuta, troveremo diverse tecniche utili a superare la dipendenza da lui, ma anche da ogni tipo di elemento simile: dalla Mindfulness, dove si impara a godere del momento del presente senza badare a quello che è stato o a quello che sarà, passando da yoga, corsa e dalla lista di canzoni utili a scuoterci (e a staccarci dal troppo abusato binomio gelato-divano) e così via fino ad arrivare al gioco del “ma è ganzissimo!”, che prevede lo sforzo di trovare qualcosa di buono anche quando qualcosa di buono non c’è (“In fiorentino ha più enfasi”, spiega la Bosco, ed è vero).

Le chiedo di rispondere a due domande e, gentile come sempre, la trovo disponibile a raccontare la sua scrittura e le sue ispirazioni.

Federica, ci spieghi che differenza c’è tra quello che scrivi e quello che potremmo trovare invece nei tanti manuali volti all’aiuto (che poi non ci aiutano mai)?

Credo che l’empatia sia la chiave essenziale perché un manuale di autoaiuto sia efficace. Ne leggo moltissimi, tutti americani e inglesi (che sono quelli che lo sanno fare meglio), e amo molto quando riesci a sentire che chi lo scrive non sta mentendo e sta provando esattamente quello che provi tu leggendo. Ed è quello che ho fatto, ho parlato di me, dei miei percorsi dolorosi dall’infanzia a oggi, e di tutto quello che ho potuto capire attraversandoli. Quando qualcuno sale in cattedra si sente subito, provoca una specie di gap col lettore che diventa incolmabile. È come sentire una voce di sottofondo che dice: “Io comunque sono meglio di te”, e allora è garantito che non può funzionare. È come se uno che non ha mai fumato insegnasse a un fumatore come smettere di fumare. Ho affrontato la dipendenza da “stronzo” nell’unico modo possibile: come una vera e propria dipendenza. Solo così è possibile uscirne.

Quanto è cambiato il tuo punto di vista sulle tue esperienze, su te stessa… Insomma: quanto sei cambiata tu, nello scrivere questo libro?

La mia vita cambia e cambia il mio modo di scrivere e di vedere le cose. E quando sento di aver superato qualcosa di estremamente difficile non posso fare a meno di condividerlo. La scrittura è la mia terapia e la mia missione e se posso aiutare qualcuno attraverso le mie esperienze la considero una vittoria immensa.

Stefania Castella

Mi chiamo Stefania e sono nata a Napoli da padre con occhi trasparenti e madre con lunghissimi capelli biondi e gonnellone hippy. Non so perché ve lo dico, solo perché tutti scriviamo dove nasciamo e nessuno da chi. Sono grafica pubblicitaria e soprattutto mamma a tempo pieno e indeterminato. Scrivo da quando ho imparato, leggo da sempre e ascolto da molto di più. Mi piace leggere e raccontare storie, dare voce. Scrivere è la mia esigenza, la mia necessità. Mi piace raccontare ciò che ho letto cercando di trasmettere l'emozione che ho provato, lasciandovi entrare nel viaggio che ogni scrittore regala. Se questo si chiama recensire, allora recensisco. Cosa fa su MeLoLeggo? Quello che amo fare: immergermi in una storia di carta, con rispetto e onestà, affiancandomi con voi alle pagine e percorrendo lo stesso bellissimo sogno. Ogni scrittore partorisce le sue creature con amore e fatica, quello che possiamo fare è raccogliere la sua storia. Se una storia non piace non si può stroncarla, solo evitare di raccoglierla, no?

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