Il mondo sul filo: i paradossi dell’esistenza virtuale
Dev’essere strano vivere la propria quotidianità credendo di essere sé stessi da sempre, interagire con un mondo fatto di persone, oggetti, sistemi, situazioni che ci sembra di conoscere da tempo e poi scoprire che tutto quello che ci sembrava reale tale non è.
Dev’essere strano scoprire che ogni nostra parola, ogni gesto e ogni pensiero non sono fonte naturale ma voluta da un congegno, da un’entità che controlla le nostre pulsioni, così che tutto ricada in un calderone di cui quell’entità conosce gli ingredienti, ma non noi.
Il mondo sul filo è un romanzo di ambientazione fantascientifica di D.F. Galouye, pubblicato inizialmente nel 1964 e riproposto dopo tanti anni da Edizioni Atlantide con traduzione di Federico Lai.
Douglas Hall, esperto in programmi di simulazione, viene coinvolto in strane sparizioni che inizialmente interpreta come omicidi. In realtà, si entra in un ginepraio di cose vere e cose inventate, e si perde la cognizione.
Hall viene incolpato, ed è costretto a fuggire, ma il guaio maggiore sta nella scoperta di essere parte di un contesto in cui ogni appiglio alla realtà sembra inesistente in quanto totalmente costruito. Come nel mondo dello stranoto Matrix, le tematiche della realtà virtuale vengono legate abilmente con piglio narrativo, un pizzico d’azione e una colta filosofia.
Quando scopre l’esistenza di un doppio in un mondo superiore, per Doug cominciano le domande e le angosce e deve allora farsi forza per sfuggire alla sensazione di vuoto e smarrimento. Egli pensa, quindi è. Ovvio che solo così riesce a sentire materiale il mondo in cui vive, e diviene possibile anche il contatto fisico e sentimentale con Jinx, la bella co-protagonista.
Qualche refuso presente non macchia un’edizione buona e godibile. Un libro che va letto, per porsi domande e godere di una inventiva non comune.