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Diario di un condannato a morte, di Alessandro Piana

Diario di un condannato a morte
Diario di un condannato a morte

Lettere dal carcere… un apparente classico di certa letteratura. Quando però la letteratura si fa realtà, e quando quelle stesse lettere testimoniano la quotidianità della vita in un braccio della morte, le cose prendono altra piega.

Certo, c’è chi si isola ancor di più da quel mondo vissuto male, chi cerca di trovare un passatempo, dal più banale al più astruso, chi invece si rode l’anima e il corpo nel pentimento o nella cupa rassegnazione. E c’è anche chi, ravvisando la palese ingiustizia di un sistema penale, capisce che dovrà impegnare il tempo che gli resta nel combattere questa ingiustizia, lottando con le proprie armi in una battaglia che sarà quasi sicuramente persa.

Willian Van Poyck, detenuto nel braccio della morte della Florida nel periodo che va dal 17 aprile 2005 al 12 giugno 2013, giorno dell’esecuzione mediante iniezione letale, è il protagonista di questo anomalo “Diario”, ottenuto da Alessandro Piana con pazienza e dedizione a partire dalle numerose lettere che, in quasi nove anni, Van Poyck scrisse a sua sorella Lisa.

Van Poyck consegna le sue riflessioni ai posteri tramite il metodo che più gli viene naturale: scrivere. La sua scrittura è semplice, lineare, senza fronzoli; autentica, come autentiche sono le sue riflessioni, su tutto e di più.

Nelle lettere vengono raccontati nove anni di braccio della morte, si testimonia della pazzia di alcuni, delle carenze di un sistema organizzativo pessimo e, soprattutto, della grande umanità che si cela dietro tutte quelle sbarre.

Van Poyck, condannato a morte ma sempre professatosi innocente – la premeditazione, però, nel sistema di giudizio della Virginia, basta e avanza per condannare a morte – decide di studiare la giurisprudenza dei casi, con la segreta speranza di scoprire tutte le analogie possibili che lo aiutino a scrivere petizioni su petizioni, per smuovere il macigno che qualcuno ha posto sulla sua esistenza.

Nel farlo, diventa inconsapevolmente esperto di questa materia, fino a prestare la sua esperienza ad altri disgraziati come lui, con un intento comune: vincere contro un sistema che li vede già morti.

Le pagine drammatiche si alternano ad altre corredate di mille particolari di vita quotidiana. Sì, perché William condivide con Lisa il suo amore per lo sport, per i documentari, per la lettura dei classici, rammaricandosi che tutto ciò, un giorno, cesserà di avere un significato.

Le riflessioni di William, sincere, svariano sui vari aspetti della vita reale, venati di un sano e mai prolisso filosofismo, perché fatto di considerazioni veraci, da autentico uomo di strada che vuole elevare il proprio spirito.

In questa testimonianza scopriamo un mondo in parte intravisto in certi film, ma infarcito della fredda consapevolezza del racconto reale.

I soprusi, le perquisizioni, la scarsa igiene e la pessima cultura della sanità si aggiungono al quotidiano angosciante scorrere delle ore. Per alcuni l’ora arriva davvero, ci si prepara a lasciare questo mondo, e una sospensione dell’ultimo minuto lascia nello sconforto chi era già pronto per il salto finale.

Riuscite a immaginarvi come ci si possa sentire in quel caso? Io, a malapena, ci provo. Con un brivido.

Il libro scorre, le date si sovrappongono come un ideale volatilizzarsi di fogli di calendario, e si scopre una crescita interiore dell’uomo, il suo giudicarsi con molta serenità, senza nutrire astio per chi soffre, ma soltanto rabbia e ribellione per chi pretende di essere al di sopra di tutto, e non riesce ad ammettere che nella vita si può anche sbagliare.

Diario di un condannato a morte, che ha ricevuto il patrocinio di Amnesty International, parla questa lingua. Una lingua in cui, però, si fatica a distinguere la voce dell’autore e quella del trascrittore.

Ecco, quello che manca e che, a dire il vero, difficilmente poteva emergere con un libro del genere, è il vero stile di scrittura di Piana.

Colui che ha raccolto, elaborato e selezionato le lettere compie un lavoro egregio, ma di certo il meno indicato per far emergere le proprie reali capacità di scrittura, da rimettere alla prova in futuro.

Per ora, consiglio il libro a chi pensa.

E anche a chi è in grado di comprendere il significato di un raggio di sole per gente che, un giorno, non lo vedrà più.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

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