Un giallo nel Veneto operaio: intervista a Fulvio Ervas su “C’era il mare”
C’era il mare segna il ritorno dell’ispettore Stucky, creato dall’autore veneto Fulvio Ervas, dopo il fortunato passaggio al cinema con la trasposizione di uno dei suoi precedenti romanzi Finché c’è prosecco c’è speranza, interpretato da Giuseppe Battiston. Impossibile non pensare al corpulento attore mentre si legge il nuovo libro, appassionante giallo dato alle stampe con la consueta Marcos y Marcos, ambientato in Veneto, tra Treviso e Porto Marghera, la Venezia operaia.
Qui, in questi due poli della stessa regione, avvengono quasi in simultanea due omicidi: a Treviso fanno fuori con il veleno un anziano giornalista in pensione, in passato molto attivo per delle indagini; a Venezia invece uccidono con una chiave inglese un ex operaio, in passato protagonista di lotte sindacali a Porto Marghera. Omicidi simbolici, che sembrano legati, ma le indagini inizialmente proseguono separate.
Fulvio Ervas scrive abilmente dei capitoli alternati, semplicemente intitolati Treviso e Marghera, e il libro prende il suo ritmo, con Stucky impegnato a cercare l’assassinio del primo, e la collega Luana Bertelli a fare lo stesso per il secondo. Si incontreranno inevitabilmente con il terzo delitto del romanzo a metà strada, quello di un avvocato anche lui con un passato di impegno politico e civile.
La storia è intricata e appassionante, piena di personaggi con molto colore e spessore, colpi di scena e una certa passione per storie e la Storia, come quella di Porto Marghera, città nella città, fatta sorgere cento anni fa, sul finire della 1a guerra mondiale, e dell’aristocrazia operaia con un passato importante, da ricordare. Tutto questo e molto altro ancora nelle scorrevoli 365 pagine di C’era il mare.
Ne abbiamo parlato con Fulvio Ervas.
C’era il mare si svolge in Veneto, tra due poli caratteristici quali Treviso e Porto Marghera. Perché? Poteva essere diversamente?
Questa volta ho messo, l’una di fronte all’altra, la bella Treviso e la rudo almeno quello che ne rimane. Ma il baricentro di “C’era il mare” sonoe Marghera. Le botteghe e le fabbriche. La borghesia e la classe operaia , sicuramente, i Cantieri navali e il Petrolchimico di Marghera, luoghi evocativi, cuori pulsanti per decenni dell’economia veneta. Non ci sarebbe il Veneto, come lo conosciamo, senza il ruolo di catalizzatore di Porto Marghera. In questo romanzo ho messo in connessione narrativa quello che è stato socialmente ed economicamente connesso per un lungo periodo. È la nostra storia, e lì Stucky doveva tornare.
Come è nato e si è sviluppato questo romanzo?
Il progetto di Porto Marghera nasce nel 1917, cento anni fa. Siamo in piena Grande Guerra, a pochi mesi dalla sconfitta di Caporetto, e a Venezia il conte Volpi e altri immaginano di far sorgere, sulle barene della terraferma, un’area industriale. Un progetto di pace, per certi versi, mentre infuria la guerra e non si sa, ancora, come andrà a finire. Ecco, il centenario della nascita progettuale di Porto Marghera mi è sembrata un’occasione storica per una riflessione sul rapporto tra ambiente e attività produttive. Temi sempre presenti nei polizieschi di Stucky. E Marghera è la madre, almeno nel Veneto (ma non solo) di tutte le questioni ambientali: uno degli insediamenti industriali più concentrato d’Europa. Ho solo sfiorato, in questo libro, la faccenda Marghera, ma mi pareva che mentre si fa un gran rumore sul centenario della prima guerra mondiale, una pura follia umana, se ne è fatto molto meno su un altro tipo di follia umana. È un invito ai lettori a riflettere.
Dentro C’era il mare c’è un mondo trasformato, quello della fabbrica, delle sue lotte per i diritti di chi ci lavora, e per l’ambiente. Possiamo dire che i delitti sono legati a questo?
Proviamo a pensare a un fatto: riteniamo ovvio che un conflitto militare, tanto più se a grande scala, produca morte e devastazione, ma non dovrebbe essere anche così nelle nostre azioni di pace, cioè nei processi di produzione. Se anche le nostre azioni di pace producono conflitti e ampi effetti collaterali sulla salute e sull’ambiente, qualcosa non va nella nostra strutturazione sociale. Viviamo una guerra permanente: tra stati e tra produzione e lavoro. Questo modello è dissipativo, costoso, foriero di grandissimi problemi. La specie umana dovrà, spero, uscire da questa preistoria, il cui motore è unicamente la conflittualità, e provare a trovare strade più sensate. Poi, nello specifico, Marghera è una storia (che qualcuno dovrà raccontare con maggior respiro) di lavoro e lotte sindacali anche durissime, di aspettative politiche, di comunità, di partecipazione e anche di grande civiltà e cultura.
Cioè insegnamenti.
Accanto al personaggio di Stucky c’è, nell’indagine parallela, quello di Luana Bertelli. Direi che hanno pari peso. Sarà così anche nei futuri romanzi?
Luana Bertelli, ispettrice del commissariato di Marghera, era già apparsa nel precedente Pericolo giallo, ma qui mi ha, inaspettatamente, forzato la mano, si è allargata, ha assunto spessore ed esprime quella forza, un po’ rude, del veneziano di terraferma. Mi piacerebbe riuscire a metterla in un romanzo tutto per lei.
Il cinema e Stucky, il cinema e Ervas. Che rapporto c’è?
Stucky ha il volto e il corpo di Giuseppe Battiston, diretto da Antonio Padovan in Finché c’è prosecco c’è speranza. C’era il mare è un romanzo che si misura con un personaggio non più solo mentale ma reale, e questo mi ha condizionato nella scrittura. Nel film di Padovan ho dato un contributo alla sceneggiatura, cercando di tradurre il linguaggio del romanzo in un linguaggio visivo. Non facile, ma educativo. Vedere le proprie storie camminare è una bella emozione. Vedere un attore dare vita, una propria vita, a un tuo personaggio è, davvero, una grande soddisfazione. Da poco, il regista Gabriele Salvatores ha terminato le riprese di Se ti abbraccio non avere paura, che vedremo nel prossimo anno.
Progetti futuri extra-Stucky?
Forse qualche storiella per bambini. Ho un nipotino e vorrei lasciargli come dono un mondo di immaginazione.
QUI LA RECENSIONE AL ROMANZO A CURA DI ENZO D’ANDREA