La morte di Murat Idrissi, di Tommy Wieringa
La morte di Murat Idrissi è di per sé un titolo che non lascia scampo, che spedisce l’immaginazione direttamente ai grandi drammi psicologici dell’Ottocento.
Non c’è molto Ottocento, però, nei protagonisti dell’ultima fatica di Tommy Wieringa, calda voce dell’Olanda tradotta in Italia da Elisabetta Svaluto Moreolo per Iperborea. Ho conosciuto e apprezzato la sua profondità di scrittore, il suo stile a volte scarno ma incisivo, con Le avventure di Joe Speedboat prima e con Questi nomi poi, e anche in questa mia terza lettura non delude affatto.
Non c’è molto Ottocento nei protagonisti del romanzo, dicevo, e non potrebbe esserci. Cambia lo spazio-tempo, cambia il contesto, cambiano anche i ritmi di scrittura. Sono figure che si muovono in una scena ampia come il tragitto dall’Africa all’Olanda, e ristretta come l’abitacolo di un’automobile. Gente rivestita del giusto tono che fa il paio con la drammaticità di certe scene, con l’atroce attualità del tema trattato.
Ilham e Thouraya, ragazze olandesi di origine marocchina, stanno per ritornare in Olanda da una vacanza in Marocco. Prima della partenza, vengono convinte da Saleh, la loro guida, a condurre con sé Murat Idrissi, un ragazzino che cerca in tutti i modi di raggiungere l’Europa e di scappare dalla miseria. Chiuso nel bagagliaio dell’auto noleggiata, il ragazzo muore durante la prima parte del viaggio. Saleh si dimostra in tutta la sua vigliaccheria, fuggendo con il denaro che aveva intascato per portare via il ragazzino.
Ilham e Thouraya, a questo punto, si ritrovano abbandonate a se stesse, con un cadavere nel bagagliaio e la tremenda paura di essere accusate di un decesso di cui non hanno colpa.
Il resto del romanzo è il resoconto dei passaggi, delle disavventure delle due ragazze. Il disagio crescente, il sentirsi marcire dentro così come si sta lentamente decomponendo il corpo del giovane innocente che ha perduto la vita pur avendo lottato con disperazione per trovarne una migliore. Le due ragazze, perciò, uniscono alla paura quel senso di sporco, quella rabbia e voglia di fuggire via indotta dalla terribile situazione che stanno vivendo.
E così riflettono anche sulla propria condizione. Loro sono fortunate, sì, rispetto a quei giovani che tentano la traversata e spesso muoiono appena sbarcati, che vengono abbandonati per strada come cadaveri di bestie infette. Ma sanno anche loro che, nella condizione in cui si trovano, non possono dire di avercela, una patria. Non è patria il Marocco, che loro non hanno conosciuto prima e in cui non si riconoscono neanche ora. Non è patria neppure l’Olanda, in cui c’è sempre chi le fa sentire come oggetti estranei, pur essendoci nate e cresciute, e sulla carta avere gli stessi diritti dei propri connazionali.
Si sa, questa è una vicenda così intricata e lunga da non potersi trattare con un romanzo. Breve, per giunta. Wieringa, però, in questo stupisce. Riesce a tenere le redini della vicenda, a darle il giusto taglio, la giusta tensione, senza mai scadere nello scontato, nel già visto. E con brevi, profonde riflessioni su uno dei principali problemi del nuovo millennio.
Idrissi, questo ragazzino sfortunato, insegna col suo silenzio molte più cose di quante ne possano insegnare personaggi affetti da logorrea.
A mio avviso un piccolo capolavoro, che può essere letto sotto molti punti di vista. La morte di Murat Idrissi è un romanzo crudo, denso, veloce, tagliente, ma anche insopportabilmente veritiero.
Leggetelo. Vi farà riflettere ma anche gustare una lettura affatto spiacevole.