Gli altri, di Aisha Cerami
Probabilmente la forza arriva prima dal nome: Aisha, che a cercarne il significato nella sua traduzione dall’arabo, significa “viva”, “vivente”. Al nome forte si aggiunge un cognome altrettanto imponente che, come tutte le grandi cose, bisogna abituarsi ad avere accanto: Cerami.
Ecco, abbiamo composto in un attimo il nome dell’autrice e tutto il mondo che tiene racchiuso dentro.
Da una parte l’aura forte di Vincenzo Cerami, un padre con una scrittura che resta: sceneggiatore, scrittore, giornalista, drammaturgo, nonché candidato all’Oscar per la sceneggiatura de La vita è bella, il capolavoro di Roberto Benigni. Dall’altra una madre altrettanto importante: Mimsy Farmer, con un curriculum cinematografico infinito. Icona.
Da questi due universi non poteva che nascere qualcosa di bello. E così è stato: Aisha Cerami, che passa dalla recitazione alla musica, dalla composizione musicale (nel 2019 candidata ai David di Donatello per la colonna sonora di A casa tutti bene, di Gabriele Muccino) alla scrittura, e trasforma in modo evidente ogni passione in qualcosa che lascia un’impronta. Fa lo stesso anche nel caso del suo romanzo d’esordio, Gli Altri, uscito per Rizzoli, in cui riversa la visione intera del mondo in uno spazio condominiale. Un universo che si muove in circolo e inevitabilmente implode. Un viaggio, un film, un gorgo, un’opera prima di scrittura dal ritmo veloce, perfetto, dai dialoghi serratissimi, efficaci, trascinanti.
Aisha e i suoi occhi limpidi osservano, come osserviamo noi lettori, un mondo che si muove in modo anomalo eppure preciso all’interno di un condominio apparentemente perfetto: il Roseto. Prati impeccabili, rose delicate a cui dedicare cura e attenzione, cene a cui partecipare in un costante rapporto familiare, in cui tutti i condomini sono fratelli, se non di carne, di appartenenza totale. Ore scandite da convivialità irrinunciabili: più che riunioni condominiali, veri e propri aggiornamenti necessari per confermare la stabilità che tiene insieme tutti. Anime accomunate dal passato difficile, anime come barche che la vita portava alla deriva, e che nel Roseto hanno trovato approdo. Come non amare chi ti salva? Come non gettare via le armature di una vita, rinunciando quasi a te stesso, quando in te alberga la riconoscenza per la sopravvivenza?
Il Roseto somiglia a quelle apparenze familiari in cui i legami sanguigni avvolgono fino a scarnificare e far sanguinare. Legami che resistono perché tutto viene tenuto insieme, più che dall’amore, dalla dipendenza e dalla protezione. Fino a quando il caos non interverrà a spazzare via la dimensione precisa e sterile, lasciando porte spalancarsi, e apparenze crollare.
Sarà la morte dell’anziana Dora, una di loro, parte di quell’unico corpo composto di facce squassate, braccia bisognose di sostegno e anime incastrate, a segnare il cambiamento, una ricostruzione. Ecco così avanzare l’inaspettato per tutti loro, abituati ad essere guidati da regole ferree, a decidere quali vicini avere e come forgiarli per montare un puzzle preciso ed esatto. Tutti loro che si ritrovano, invece, sconvolti di fronte alla decisione estrema della figlia di Dora, l’unica ad avere voce in capitolo sui nuovi inquilini che andranno ad abitare quell’appartamento lasciato vuoto di quel loro pezzo, necessario al delicato (e precario) equilibrio instaurato.
Il Roseto e i suoi abitanti si prepareranno all’accoglienza dei nuovi vicini fremendo, senza tralasciare dettagli, aspettandoli con sorrisi, a volte ghigni, e con braccia per alcuni troppo simili a tenaglie. Delusi, saranno costretti a depositare gli artigli, a ingoiare il rospo; i vicini, troppo stanchi per le convivialità, rinunceranno alla prima accoglienza e via via a tutti i momenti di incontro. Nessuno avrà modo di avvicinarli, di stabilire quel contatto, quel controllo a cui tutti devono necessariamente sottostare.
Unici occhi, uniche bocche, uniche vite pulsanti di verità saranno Antonio, il figlio di quella coppia di “stranieri” abitanti misteriosi, e la giovane Arina, che cercherà di resistere alle brutture che piano piano vedrà sfilare davanti a quelle apparenti normalità. Uno sguardo pulito che vede il marcio salire a galla pian piano.
Per il lettore è un muoversi costantemente in bilico, odiando, amando, restando a guardare la faccia scarna del bene e del male, oscillando da una parte all’altra, senza sapere quale parte sia quella giusta. Chi sia veramente il diverso, lo “straniero”, oltre la cerchia dell’abitudine. Cosa sia la paura di quello che a pelle non riconosciamo e vorremmo soltanto eliminare tenendolo lontano dalla vista. Tifando per chi si muove alla ricerca della libertà, ma accorgendosi di volta in volta in volta che le regole del Roseto non sono che follia, e nonostante ciò sentire il dubbio farsi strada: per amore di un equilibrio, per amore di una protezione che fuori hai paura di non poterti ritagliare, non è forse meglio soccombere, abbassare la testa e accettare?
Ne Gli altri non c’è mai una riga banale, mai una pagina che non si faccia portatrice di un tumulto di sentimenti. È uno straordinario viaggio tra mura che sembrano soffrire delle stesse malattie umane, e cambiare sotto il peso della verità che si fa strada e si rivela poco a poco. All’opera di Aisha Cerami non manca nulla e forse, mostrata attraverso gli occhi e la regia di un Ferzan Özpetek, potrebbe divenire un’interessante opera cinematografica corale capace di lasciare il segno, come lasciano il segno già queste pagine dalla bellezza ipnotica.