Sete, di Amélie Nothomb
È un Gesù umano e fallace quello descritto da Amélie Nothomb nel suo ultimo romanzo, Sete (Voland edizioni, traduzione di Isabella Mattazzi).
Un racconto disincantato e toccante, a tratti anche crudele, esce dalla voce del Cristo che si racconta in queste pagine, dall’ultima notte in cella, dopo la condanna di Pilato, alla croce, fino all’aldilà.
L’infanzia, il legame con i genitori mortali e quello con un Dio assente e incurante, gli incontri con un’umanità diffidente, contraddittoria, a tratti anche folle, le scelte obbligate e quelle prese per paura, fino all’amore inaspettato e passionale, che travolge lo spirito e fa sentire in stretta connessione con il corpo terreno: questo è il Gesù narrato.
In questa versione inedita, spogliata di ogni candido alone divino, il racconto della Passione di Cristo sgomenta il lettore, abituato a conoscere le ultime ore terrene di Gesù attraverso la versione edulcorata dei Vangeli.
Dolore, sangue sgomento, sudore divengono i compagni fedeli del protagonista di Sete, un uomo che nel corso della propria vita ha amato, odiato, pianto, disprezzato, perdonato, dimenticato.
“Sono stato uomo abbastanza a lungo per sapere che certi sentimenti non vanno repressi. Bisogna aspettare che passino senza cercare di combatterli: soltanto così non lasceranno alcuna traccia.”
Il romanzo di Amélie Nothomb è un tonfo al cuore, un libro che, nel pieno stile della scrittrice belga, tramortisce con il suo linguaggio diretto, obbligando il lettore a riflettere su temi cardine della condizione umana: il valore della vita e della morte, il tempo, la fede l’eternità.
“L’amore non tocca mai le creature estranee al male. Non che ci sia qualcosa di male nell’amore, ma per conoscerlo dobbiamo contenere abissi in grado di accogliere la profondità della sua vertigine.”