Cartoline dai morti (2007-2017)
«La morte è una spina piccolissima
finita dentro il sangue chissà quando,
è una ballerina che ha scelto la mia testa
per i suoi esercizi,
un fiume che passa sotto i miei ponti,
la morte mi viene in mente
mentre leggo mentre mi metto le calze
quando mi faccio la doccia
mentre parlo al telefono
davanti al computer
ai funerali alle feste»
Dimenticatevi che questo libro è stato scritto da Franco Arminio.
Dimenticate tutte le polemiche e le critiche nate in ambiente letterario sui suoi lavori e dimenticatelo perché non riuscireste a godervi, né a comprendere del tutto, la delicatezza con cui tutti noi siamo stati interpretati, noi comuni esseri umani, con vite comuni, amori comuni e — inevitabilmente — morti comuni.
Attenzione, però: comune non significa banale. Nulla è banale quando lo viviamo in prima persona. Quando ci innamoriamo, ci sembra di essere gli unici ad essersi mai innamorati in quel modo così profondo, anche se sappiamo che non è vero e anche se abbiamo conosciuto la nostra anima gemella nel modo più semplice, magari a una festa o tramite amici.
In questo piccolo libro, la terza e (si spera) definitiva edizione delle Cartoline dai morti (Nottetempo editore), Franco Arminio analizza un aspetto che a nessuno piace affrontare. Quello della morte ordinaria, senza fanfare o drammatica teatralità. Se proprio dobbiamo pensare alla nostra morte, spesso speriamo in una morte che abbia un significato, un riconoscimento da parte di chi rimane.
È proprio sul concetto del “riconoscimento” che in realtà si basa questo libro, anche se non appare al primo sguardo, se non a un lettore estremamente sensibile. Leggendo queste poche righe, una manciata per facciata, riconosciamo noi stessi nella nostra splendida banalità. Riconosciamo la morte di un amico, di un parente, di una persona che vedevamo ogni tanto al bar… In breve, riconosciamo una morte possibile e ne ascoltiamo le percezioni direttamente dal morto.
L’autore eccelle nell’interpretare i vari personaggi: l’uomo come la donna, il bambino come il centenario. Si riconoscono vari livelli di cultura e varie reazioni. C’è chi è arrabbiato, chi polemico, chi rassegnato, chi vorrebbe vedere le facce dei propri parenti al funerale, chi vorrebbe potersi ancora togliere una curiosità su qualcosa di assolutamente poco importante.
Questo è un libricino che può essere letto in vari modi, ma quello secondo me più adatto è centellinare le storie, poche alla volte, quando si ha il bisogno di sentirsi tutti un po’ più fratelli, un po’ più simili e, in qualche modo, un po’ più vicini.
«Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente.»
«Ero andato dal fabbro. Stavamo parlando della ringhiera. Come si fa a credere in dio quando uno muore mentre sta parlando di una ringhiera?»
«Ero bella, avevo un bel fidanzato. La malattia è stata lunga, sembrava che stavo per guarire e poi stavo di nuovo male. Lui aspettava mesi per potermi dare un bacio.»
«Ho detto agli altri morti: avviciniamoci, non ha senso stare pure qui ognuno per conto suo.»