Le età dei giochi, di Claudiu M. Florian
Il titolo di questo romanzo, lo confesso, mi aveva riportato alla mente lugubri notti di nebbia, oscuri manieri, denti appuntiti e immagini che nessuno specchio al mondo avrebbe mai potuto riflettere, pali e paletti, e chi più ne ha più ne metta.
Deluso? Non direi.
Non si può rimanere delusi da un libro solo perché si è stati fuorviati dal titolo, anche perché Le età dei giochi (Voland editore, traduzione di Mauro Barindi) è un signor libro. Non a caso, nel 2016 ha vinto il Premio dell’Unione Europea per la letteratura con la versione scritta in tedesco. Successivamente, Florian, attuale direttore dell’Istituto Culturale Romeno a Berlino, lo riscrisse in romeno ampliando alcune parti.
Il risultato non è un romanzo a pieno titolo, ma più un saggio romanzato con precisi richiami storici e etnologici. La narrazione procede in prima persona e a raccontare questo pezzo di storia è un bambino nel periodo che va dai 5 ai 7 anni di età (l’età dei giochi, appunto).
Attraverso gli occhi del protagonista, scorrono immagini, odori, sensazioni, giochi linguistici – spassosi i confronti continui tra il tedesco e il romeno, soprattutto l’uso di certi termini come ingermania, dallagermania, ecc. – di una Transilvania multietnica, nella quale affiorano di continuo i richiami storici alle battaglie per contrastare l’avanzata dei Turchi, alle prime presenze di gente di cultura e lingua tedesca che i re magiari vollero per contrastare le scorrerie barbariche, alle numerose cittadelle, villaggi e chiese fortificate, esempi tipici di architettura dell’Europa centrale trapiantati all’Est dell’Europa.
L’autore possiede una maniacale capacità descrittiva, che utilizza attraverso l’ingenua voce del bambino che narra i giochi, le usanze, i luoghi, gli affetti e gli oggetti che popolano la sua infanzia trascorsa con la nonna sassone (Anni) e il nonno romeno (Iorgu) perché i suoi genitori vivono a Bucarest.
Le parole del bambino raccontano di eventi familiari anche drammatici che riguardano lui ma anche i suoi genitori e i suoi nonni e il bisnonno, portando il lettore in un lungo revival che parte dalle due guerre mondiali e passa per il primo comunismo in Romania, quindi le deportazioni in Unione Sovietica e il regime di Ceauşescu, fino alle Olimpiadi di Montreal.
Una scrittura densa, quella di Florian, spesso intrisa della malinconica poesia del ricordo. A volte, la lettura risente dello stile maniacale e cocciutamente descrittivo, specie in alcune fasi di stanca. Allo stesso tempo, però, è proprio questo modo di scrivere che rende fede al richiamo alla memoria che sembra essere l’intento principale dell’autore, il messaggio finale per chi si avventura tra le pagine de Le età dei giochi.