Mostri favolosi, di Alberto Manguel
Di Mostri favolosi (Vita e pensiero, traduzione di Giovanna Baglieri), nel senso che intende Alberto Manguel, è strapiena la mia vita. Fin dall’infanzia, infatti, mi abbeveravo alla fonte dei fumetti e dei sporadici libri che mi capitavano a tiro, in tempi in cui grazie alla scuola pubblica si potevano gustare i classici del romanzo senza spendere un quattrino. Ora i libri sono diventate montagne che spesso, per troppa abbondanza, vengono scalate anche anni dopo l’acquisto. Ma questa è un’altra storia.
“L’esperienza che ho del mondo, fatta di amore, morte, amicizia, perdita, gratitudine, stupore, paura, l’ho imparata dai personaggi immaginari che ho incontrato nelle mie letture…”
È così che scrive Manguel.
I libri come maestri di vita?
Perché no? In fondo, nelle sue parole mi ci riconosco e non poco. Chiaro che non è tutto. La vita è fatta di esperienze, ma nulla vieta di scoprire dietro certi voli della fantasia insegnamenti che più terreni non si può.
Amici immaginari, questi mostri favolosi. Ore e ore trascorse in loro compagnia, magari anche qualche rilettura perché il dettaglio può sempre sfuggire. E allora via con Cappuccetto Rosso e Alice nel paese delle meraviglie, passando per Superman e Huckleberry Finn e Jim e Heidi e l’Ippogrifo, e ancora Robinson Crusoe e Long John Silver e il Capitano Nemo, e poi Dracula, Satana, Frankenstein.
Non è solo questo, ovviamente.
Manguel prende spunto, cita brani di romanzi, traccia la bellezza di 39 ritratti. Uno più bello dell’altro.
Non è un puro lasciarsi andare alla nostalgia della lettura, il voler mostrare come si è bravi e quanto si è letto nel corso degli anni. Se ci pensate, il bello della lettura è condividere l’esperienza personale, ma solo dopo che essa è stata fatta. Perché la lettura è silenzio, quiete, solitudine affollata di pagine e pagine e personaggi capaci di combattere una battaglia mentre tutt’intorno a voi c’è la quiete totale.
Manguel, dicevo, non si limita a questo. Egli condisce ogni ritratto con un discorso che parte dal personaggio, o si limita a utilizzarlo nel pieno del ragionamento, ma il suo è un divagare nello spazio dei concetti, affrontando i temi universali, mescolando sapientemente letteratura spicciola alle fonti, al racconto e all’impressione personale, andando avanti e indietro nel tempo a scoprire storie e personaggi non note ai più. È il caso di Karagöz e Hacivat, della saggia Elsa, di Sabbioso e del Tiranno Banderas – non chiedetemi altro, leggetelo se vi incuriosisce.
C’è molta carne a cuocere, il profumo si spande nell’aria e invita ad accostarsi a questo particolare banchetto. Un banchetto fatto di miti, leggende, fantasia, ma anche di tutte le letture accumulate in anni di passione sfrenata.
Inutile aggiungere che questo viaggio periglioso ma nient’affatto spiacevole mi ha aperto anche porte di cui ignoravo l’esistenza.
Mostri favolosi è, in ultima analisi, un libro colto, acuto, intelligente, che incuriosisce e cattura, scritto come un romanzo che diventa un saggio per poi tornare romanzo, in un turbinare di personaggi, nomi che affollano una lettura sempre piacevole.
La curiosità di scoprire, se volete, è una delle conseguenze dell’aver letto questo libro. Se non vi disturba il mio parere, non è affatto una cattiva idea.