Dalle 9 alle 6, di Davide Staffiero
Trovare il lavoro dei propri sogni è bellissimo.
Chi osa metterlo in dubbio? E allora, quando uno ci riesce, farà di tutto non solo per tenerselo caro, ma anche per scalare il più in fretta possibile le posizioni per fare carriera. A patto di averne l’ambizione, s’intende.
Alex Magni, il giovane, bello e determinato protagonista di Dalle 9 alle 6 di Davide Staffiero (Edikit edizioni), raggiunge tale possibilità e rientra perfettamente nella categoria di chi ambisce a fare carriera.
La compagnia per la quale Alex inizia a lavorare è leader nel mercato e per questo è retta da un rigido regolamento, nonché da una struttura gerarchica costruita apposta per impedire mescolanze tra livelli differenti e segnare nettamente le differenze. La stessa sede è strutturata secondo questo principio.
Non solo. Alex, prima di essere assunto, sperimenta su sé stesso il particolarissimo metodo di reclutamento della compagnia, e ha inoltre il primo rude contatto col cinismo che regna sovrano in un tale ambiente.
Alex è però un duro, uno che si sprona rifacendosi agli eroi della sua passione cinefila e, come tale, non è affatto il tipo da mollare alle prime difficoltà.
Però… c’è un però, come in tutte le storie che apparentemente dovrebbero imboccare un binario e invece ne prendono un altro.
La concorrenza spietata, le norme ferree e l’ambiguità di certi comportamenti lo prendono di sorpresa, innescando in lui un insano ma anche giustificabile desiderio di rivalsa. Rivalsa contro i superiori ma, anche, contro qualsiasi componente del suo ambiente di lavoro.
Purtroppo, Alex si infila in un tunnel in cui ogni perdita di lucidità vanifica i suoi sforzi, facendolo precipitare in un gorgo malefico che avrà le sue conseguenze.
Conoscevo già Davide Staffiero per via del suo romanzo precedente (Il programma, edito da Eclissi), e già in quell’occasione ho avuto modo di apprezzarne l’abilità nel giocare e maneggiare, con un fluido stile di scrittura, piccole e grandi manie, fobie, convinzioni e fissazioni della gente comune.
Anche in questa seconda prova, in fondo, l’autore agisce con abilità e riesce a delineare una trama e un contesto in cui azione e psicologia vanno di pari passo per condurre il lettore al finale di cui ci si rende conto solo, appunto, alla fine.
Dalle 9 alle 6, purgato di certi piccoli eccessi di azione ben giustificati ai nostri tempi, sarebbe piaciuto secondo me al grande Kafka. “Kafkiano” è infatti uno dei primi aggettivi che mi è venuto in mente nel leggerlo.
Diciamo pure che la prova, rispetto alla precedente, ha visto Staffiero impegnato in una narrazione di più ampio respiro, così da fornire al lettore il tempo giusto per riflettere e assimilare.
Personalmente, ho solo da promuovere (quasi) appieno questo testo. Laddove Il programma mi aveva entusiasmato per la sottile vena di cattiveria sensoriale che lo pervadeva in tutte le pagine, risultando quindi la componente vincente in termini di originalità, in Dalle 9 alle 6 questo dettaglio viene leggermente meno, lasciando spazio a un tutto sommato prevedibile sviluppo, almeno una volta compresa l’indole e l’irruenza del protagonista.
Ma io lo consiglierei? Al netto di tutto, certamente!
Dalle 9 alle 6 è una lettura molto buona, poco più di trecento pagine che scorrono veloci e sono da assaporare per i dettagli e la buona abilità nel creare (o ricreare) le atmosfere di certe grandi aziende in cui l’armonia è solo di facciata e parlare di spirito di competizione è riduttivo, perché la realtà e molto, molto peggio.