Mansfield Park, di Jane Austen
Vi è sempre da rimanere affascinati da Jane Austen e dalle sue rappresentazioni dell’Inghilterra d’inizio ‘800, dei baronetti e dei signori che la popolavano – a quanto pare protagonisti per diritto di nascita di ogni storia degna di essere raccontata. La narratrice si muove al di fuori di quanto accade, occhio vigile e attento al sentire di ciascun componente della combriccola che si troverà riunita – per necessità, contingenza o diletto – tra le pareti di questa grande ed elegante casa immersa in Mansfield Park.
Le parole incantano, ma a posteriori il romanzo può essere visto come pretesto per rappresentare e mostrare le insulse manifestazioni umane dell’amore – gli interessi sottesi, i desideri inespressi, le più comuni invidie e gelosie.
È la giovane Fanny il faro nella notte, l’incorruttibile anima la cui dirittura morale diventa il controaltare su cui ogni gesto viene soppesato. Lungi dall’essere personaggio estremo e dunque irreale nelle sue virtù, questa umile e inconsapevole ragazza diventa esempio del “buono”, colto in questa luce solo dall’onniscente lettore, cui tutto è dato sapere.
L’autrice, pietra fondamentale nel mosaico dei più talentuosi autori inglesi, ha spirito perennemente ironico e spietato nell’illustrare questi suoi dannati personaggi: la natura umana appare priva di veli, vittima delle sue passioni e degli errori che permeano il cammino, se non di tutti, certamente di molti.
Jane Austen, nata alla fine del 1700, si appassiona alla scrittura sin dall’adolescenza e a soli 22 anni termina il suo primo e più conosciuto romanzo noto come Orgoglio e Pregiudizio, pubblicato solo una quindicina di anni dopo, nel 1813. Mansfield Park venne terminato l’anno successivo, nel 1814. Di questo ne esiste anche una trasposizione cinematografica relativamente recente (2000) diretta da Patricia Rozema e interpretata con bravura e molta dolcezza da Frances O’Connor e Jonny Lee Miller.