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“La coda del Logos”, la verità come essenza nelle poesie di Savino Carone

La coda del Logos

È uscito nei giorni scorsi nelle librerie e nei bookshop on line la raccolta di versi “La coda del Logos” di Savino Carone, edito da Youcanprint di Tricase (LE). Il libro, per le sue qualità poetiche – solitamente piuttosto rare tra gli autori self-publishing – si annuncia come una delle novità più interessanti nel panorama letterario del genere.

L’autore è originario di Barletta, ma vive e lavora a Capoliveri (Isola d’Elba). Ha pubblicato diversi libri di poesia e saggistica. Tra gli altri, vanno ricordati “Ogni maledetta mattina”, raccolta di articoli giornalistici; le sillogi poetiche “Variazione in carta da lettere”, “Pasticcio in salsa francese”, e due guide dedicate alle miniere dell’Isola d’Elba, “Calamita e Vallone” e “Breve visita al Compendio Minerario di Capoliveri”.

Il suo ultimo lavoro, “La coda del Logos”, suggerisce fin dalla copertina – complice un’opera di scuola espressionista tedesca che vi è riprodotta – la chiusura del pensiero razionale in un circolo vizioso, la sua incapacità di comprendere compiutamente il reale, laddove, per altra via, il mito, l’utopia e il sentimento promettono una comprensione più piena e profonda delle cose.

La silloge comprende alcuni versi scritti nel corso degli anni che l’autore ha rimaneggiato e rielaborato di continuo. Si tratta di poesie nate per colmare la paura di un «improvviso vuoto», ma anche per soddisfare un’esigenza spirituale di autenticità, «per disvelare la verità, non come rappresentazione, ma come essenza», «al di là della Babele di significati e significanti». Il fil rouge che sembra legare i versi è il vissuto di un’anima sensibile e colta, che ricorda e racconta emozioni, sensazioni, stati d’animo, pensieri, legati ai volti di persone care, a paesaggi e luoghi amati, al volgere delle stagioni e alle stagioni della vita. Su questi temi si allunga il riflesso di pesanti drammi sociali – lo sradicamento, l’emigrazione, il lavoro alienante, il mondo delle periferie urbane di “L’ultima volta che vidi passare me stesso”, non-luoghi come la Stazione di Milano, la droga in “Netta contrapposizione di colori” – e l’ombra di una sottile angoscia metafisica («come questa giornata vuota e amorfa mi consumo»).

Savino Carone possiede una non comune capacità evocativa: per esempio, nelle poesie dedicate all’isola descrive con forza e bellezza un luogo reale e mitico al tempo stesso («adagiata come un volatile di mare nell’aria grigia di lieve inverno marino» in “Lontano mi porta la nave”; o «mi resta negli odori un’eco assai lontana di voci ferrigne, di rumori sordi» in “Isola”). Un luogo che assurge a metafora della condizione umana: un’isola, appunto, tra onde sonore, in cui voci, parole e silenzi sono come navi «che al buio brevemente, alla deriva, s’incrocino».

Redazione

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