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Per et al./ Narrativa: “L’amore lungo”, di Giovanni Mariotti

L’amore lungo

È per amore che camminano per qualche tempo, sempre insieme, nelle vie di un quartiere – o perché, fragili e malandati, non avrebbero, senza il sostegno reciproco, il coraggio di uscire dalle stanze dove abitano? Entrambe le cose: giacché anche di quel bisogno, e di altri che l’amore giovane non conosce, è fatto l’amore lungo dei vecchi. Che cosa accade quando uno dei due muore? tutto s’interrompe – oppure, per qualche tempo, nel segreto della casa dove vivevano, l’amore lungo continua?

In questo libro, dedicato a tutte le coppie che sognano d’invecchiare insieme, Giovanni Mariotti ci accompagna, con infinita delicatezza, alla scoperta degli spettri (i vecchi ) che ci sfiorano nelle vie dei nostri quartieri e vivono ignorati al nostro fianco.

L’amore lungo è un racconto magico, straziante e dolcissimo, che si svolge su sfondi metropolitani percorsi da sirene di ambulanze e da crudeli scintillii di rotaie; pieno di scricchiolii, soffi, fantasmi, sogni enigmatici; tutto ambientato in universi intermedi, su una frontiera che sinuosamente corre tra un Corso affollato e strade semideserte, tra un piano e l’altro della casa, per le scale, tra la vita e la morte, tra un Aldiquà e un Aldilà  ugualmente indecifrabili.

Vincitore del premio Bagutta nel 2011 con Il bene che viene dai morti, Giovanni Mariotti torna con un romanzo magico, straziante e dolcissimo: L’amore lungo. Sullo sfondo di una metropoli fredda, che corre nonostante tutto, la fine narrazione di Mariotti cattura quegli universi intermedi che scorrono tra una stanza e l’altra di casa, tra un corso affollato e una via semideserta, tra l’aldiquà e l’aldilà pieni – entrambi – di misteri.

Per anni il suo passatempo preferito è stato disegnare piantine. Stanca del lavoro, o di altri pensieri, prendeva un foglio extrastrong e, la rossa punta della lingua che spuntava fra le labbra come un bottone da un’asola, disegnava con applicazione da scolara la Casa Sognata. Le piantine si somigliavano tutte, però ogni volta spostava una porta o un armadio o introduceva altre novità. Completato il progetto, o più tardi, quando lo mostrava al marito, le sembrava che quelle facili varianti presentassero numerosi vantaggi e nemmeno un inconveniente: tanto che si chiedeva, con una punta di meraviglia, come mai non ci avesse pensato prima.
Finché erano stati inquilini era solita dire: fosse mia, la casa, farei così e così… abolirei questo muro… qui ricaverei uno sgabuzzino… qui aprirei una porta a coulisse…: ma, diventata proprietaria, soldi non ne erano rimasti: l’acquisto aveva prosciugato il conto corrente e il mutuo succhiava ogni mese una parte considerevole dei guadagni: circostanze che non l’avevano distolta dal disegnare piantine, nella speranza che da lì a qualche anno lei e suo marito si trovassero a disporre del centinaio di milioni di lire necessari alle trasformazioni che si prefiggeva. Aveva cinquant’anni, e pensava che ci potesse essere ancora nella loro vita una sorpresa, un capriccio della Fortuna, un dono inatteso: forse il lascito di un parente dimenticato o di un benefattore sconosciuto; un distratto cadeau della sorte. A quel tempo non dimenticava di giocare tutte le settimane al Totocalcio e di comprare, avvicinandosi Capodanno, i biglietti della Lotteria; ma via via che gli anni passavano aveva trascurato sempre più spesso di acquistare biglietti e di compilare schedine. Trova sul tavolo una di quelle vecchie planimetrie, saltata fuori da chissà dove. Soppresso il corridoio che da un capo all’altro fende l’appartamento, chi dal pianerottolo penetra nella casa scopre con sorpresa una sala da pranzo spaziosa che risulta dall’accorpamento di parte del corridoio, di parte della cucina e dello stanzino guardaroba; da lì, soprappensiero, scivola nel salotto, dal salotto nella camera da letto, dalla camera da letto nel locale più ambizioso, il bagno, ampliato a spese di quel che resta del corridoio, così da ospitare una vasca per due con idromassaggio.
A un certo punto aveva smesso di disegnare piantine e di addormentarsi spostando mentalmente mobili da una stanza all’altra o da un punto all’altro di una stanza: operazione che nella realtà sarebbe stata faticosa e piena d’intoppi, ma nel pensiero si svolgeva leggera e senza attriti, al punto che ogni mobile s’incastrava al millimetro nello spazio lasciato sgombro per accoglierlo. Quella facilità e fluidità la staccavano dalla vita diurna, facendole dimenticare peso e inerzia delle cose, e favorivano il sonno. Così, in mezzo a pensieri di cambiamento, la sua vita (la loro vita) era trascorsa, immutabile”.

L’autore. Giovanni Mariotti ha pubblicato, tra l’altro, Storia di Matilde (Anabasi 1993; poi Adelphi 2003; premio Chianti), Creso (Feltrinelli 2001; premio Procida), Storia di Alì (Marsilio 2005; premio Riviera delle Palme e premio San Vidal), I Dracula timidi (et al./edizioni 2011), Il bene che viene dai morti (et al./edizioni 2011; premio Bagutta). È stato tradotto in Francia, da Gallimard, e in Germania, Svezia, Giappone, Grecia. Ha collaborato con “l’Espresso”, “la Repubblica” e il “Corriere della Sera”, e con l’editore Franco Maria Ricci per il quale ha curato, fra l’altro, la collana “La Biblioteca Blu”.

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