Nove racconti, di J.D. Salinger
“Nove racconti”, il mancato ascolto.
Difficilmente si può dire di non conoscere l’autore di Nove racconti (Einaudi). Jerome David Salinger con “Il giovane Holden” è stato in grado di raggiungere intere generazioni di ragazzi in tutto il mondo.
Nove racconti venne pubblicato due anni dopo, nel 1953, e ci porta sul piano dell’insostenibile leggerezza e fragilità dell’esistenza, sviscerata come incapacità di ascoltarsi. Salinger usa questa pecca di attenzione verso l’altro per trasformarla nella (in)consapevolezza dell’intera esistenza di “questo Altro” e di se stessi. Così è descritta la genesi della solitudine, sorella dell’indifferenza fuori di sé e in sé, abbandono profondo di ciascun individuo ai soli meandri dei propri discorsi.
Sono nove racconti, nove finestre aperte su vite inconsistenti nelle quali ogni bocca è tristemente muta, zittita dall’ineluttabilità dello scorrere del tempo e di quello che questo, come un fiume, si porta via senza più nulla restituire.
Salinger scrive in maniera semplice, immagini nette e solide. Ha la capacità, tuttavia, di descrivere un gesto facendone trasparire l’emozione. Tutto è tacito, non detto; evidente, ma non volgare. Tratta i suoi personaggi con un’indulgenza così ricca d’affetto da indurre il lettore stesso a provarne tenerezza, a legarvisi arrendevolmente.
Fu un successo, ed è un ottimo suggerimento di lettura.