Al Salone del libro di Torino, Jón Kalman Stefánsson e ‘Il cuore dell’uomo’
Al Salone del Libro di Torino, presentato da Sebastiano Triulzi, è stato ospite quest’anno Jón Kalman Stefánsson. L’autore islandese non è certamente arrivato solo, ma in compagnia del prezioso volume appena uscito per Iperborea che porta a compimento, dopo Paradiso e inferno e La tristezza degli angeli, la sua trilogia: Il cuore dell’uomo.
Un romanzo di formazione, ma soprattutto un tentativo di sottrarre all’oblio, di “riraccontare, rinarrare ciò che si è dimenticato”, spiega Stefánsson. Come espediente narrativo le vicende della sua storia vengono accompagnate dalle voci di persone che sono morte ma che, per il fatto stesso di narrare, è come se morte non lo fossero più. “La realtà è intessuta di cose che non torneranno più, di epifanie, di morti. Ho sempre provato tristezza per le cose che sono passate e non ritornano. In ogni momento felice c’è una tristezza nascosta, perché sappiamo che quell’attimo non si ripeterà mai più. Spero che Dio o qualcosa di più grande di noi esista, così nulla sarà dimenticato, perché è certo noi dimenticheremo molte cose. Uno dei compiti dello scrittore è però lottare contro la dimenticanza, la morte: è una battaglia che non si può vincere, ma se dal tentativo riusciremo a far affiorare una luce, ne uscirà comunque qualcosa di buono”, dice, paragonando poi l’arte dello scrivere all’abitudine di prendersi del tempo, ascoltarsi, riflettere e conoscersi. “Un po’ come l’attesa dell’anima per i nativi americani”, racconta. “I nativi americani dicevano che quando si andava a cavallo bisognava fermarsi spesso, perché l’anima potesse stare al passo. Ora chissà dov’è, la nostra anima, ora che tutti siamo abituati a usare automobili, treni e aerei. Io son partito ieri dall’Islanda, perciò la mia a quest’ora sarà appena in Germania, e quando tornerò sarà arrivata qui a Torino. Quando scrivo, le do il tempo di raggiungermi”.
Narrare dell’Islanda come fa Stefánsson è anche questo: soffermarsi sulla vita, soprattutto in una realtà geografica così isolata e sperduta come quella islandese, ritrovare se stessi e il proprio io in continui attimi di lotta e pace con il mondo, i propri sogni, la natura, il silenzio, la vita e la morte. Le parole di Stefánsson, tradotte in italiano dalla bravissima Silvia Cosimini e introdotte al Salone dalla voce di Emilia Lodigiani , saranno sicuramente una imprescindibili lettura di quest’anno.