Ascoltavo le maree, di Guido Mattioni
Lasciavo che il mio sguardo si perdesse sul “vertiginoso sospiro di cemento e d’acciaio sospeso sul grande corso d’acqua che divide il South Carolina dalla Georgia.”, mentre leggevo, “ma prima ancora di iniziarne la discesa avevo dovuto trattenere il fiato. Davanti e sotto di me si stendeva a perdita d’occhio un’impenetrabile e morbida imbottitura verde intessuta di cime d’albero e trapuntata qua e là da tetti bassi, bianchi colonnati neoclassici e campanili dalla punta aguzza”. A questo punto riposavo gli occhi e li lasciavo vagare su quel panorama: “da un lato e dall’altro vedevo scorrere quel fiume maestoso e lento, il Savannah River, affollato di enormi navi, mentre all’infinito, verso nord, si stendeva l’intera Georgia. Davanti a me, oltre un dedalo lagunare fatto di canali e di isole basse, potevo intuire le onde bianche e spumeggianti dell’Atlantico”.
Non ci si riempie di meraviglia di fronte a uno spettacolo così? Non se ne può fare a meno, anche se di fatto ci si trova su una panchina, seduti a un bar, alla stazione ad attendere il treno successivo, stesi in mezzo al prato o sul bagnasciuga a prendere il sole, in camera propria, in salotto con, tra le mani, Ascoltavo le maree, di Guido Mattioni. Un romanzo che già di per sé ha una storia tutta sua, essendo prima nato in forma digitale, ma in lingua inglese (col titolo: “Whispering Tides”), ed essere approdato nel mercato italiano solo dopo essere arrivato finalista ai Global eBook Awards 2012 di Santa Barbara, agli USA Best Book Awards 2012 di Los Angeles, ed essere stato adottato presso la Georgia State University di Atlanta come testo di lettura nei corsi di italiano (sapendo la qual cosa ho dunque pensato: “Devono saperlo pur bene, l’italiano, questi qui, perché è un romanzo mica facile”).
Allora eccomi, eccoci, a Savannah (Georgia) insieme ad Alberto, protagonista e voce narrante dell’intero romanzo. Di questa città conosciamo le strade, le case, le persone che vi abitano. Non sembra di essere nella capitale di uno Stato americano, ma piuttosto di trovarsi in un piccolo paese di periferia. Bello, curato, ricco di meraviglie, ma pur sempre un grande paese. Alberto non è però guida ligia e canonica e ciò che ci illustra non è la classica cartina su cui sono indicati i monumenti più importanti e conosciuti, ma una mappa emozionale che ci porta a percorrere una via fatta di ricordi e memorie, segnata da nostalgia e dolore e gioia e altro ancora, e lo fa con un’intensità tale da farci soffermare e prendere fiato. Perché il viaggio di Alberto è anche un percorso attraverso il lutto per la devastante perdita di una persona amata. “Senza più lei al mio fianco avevo dovuto inventarmi questo e altro, direi la vita intera. Imparando a capire chi io fossi per davvero, ma anche scoprendo per la prima volta, all’alba dei cinquant’anni, che là fuori non c’era purtroppo quel mondo ricco di sfumature, generoso e caldo che per più di vent’anni accanto a lei, grazie a lei, avevo pensato di conoscere”.
Eccole, le maree che Guido Mattioni, con una prosa fluida e limpida, ci fa ascoltare. Sono quelle del sentire, della speranza, dei moti della vita che, come quelli della natura, sono anch’essi regolati dal tempo che passa e da una loro intrinseca e inesplicabile ma pur presente bellezza.
Grazie di cuore, Alice! Non soltanto per la recensione in sé – oggettivamente molto ben scritta quanto soggettivamente lusinghiera – ma soprattutto perché ora so che, vivaddio, sopravvivono altre persone come me, maniache del buon Italiano e non di quello invalso ormai nella narrativa nazionale. Un Italiano – il Nostro – che della lingua rispetta la musicalità, le “curve” morbide, la dolcezza e che prevede PERFINO le subordinate! Lasciamo agli altri, agli ex cabarettisti prestati alla letteratura, a certe acide e spigolose signore e a coloro che li amano e li leggono, quel loro periodare anoressico, spigoloso e tanto fastidiosamente aspro da sembrare un manuale di telegrafia: quattro parole e un punto, tre parole e un punto… (i punti e virgola, invece, illustri soconosciuti). PS: brava anche perché hai colto nel segno. Il professor Richard Keatley, che ha scelto il mio libro per insegnare Italiano alla Georgia State di Atlanta (scelta spontanea, nata dal passaparola tra amici, non dalle pressioni di un senatore o di un congressman) parla la nostra lingua forse meglio di noi, addirittura con una deliziosa e leggerissima cadenza partenopea avendo soggiornato a lungo a Napoli come militare e avendo anche sposato una napoletana. Guido
Maniache del buon italiano? Non sai quanto!
Ti ringrazio per questo commento: l’ho letto solo ora e mi ha lasciato con un grande, grande sorriso.
A presto,
Alice