Bruno Osimo e la rivoluzione che non t’aspetti
Ebbene sì, lo confesso. Non conoscevo Bruno Osimo. Può capitare però, a uscire per strada in una città di tre milioni di abitanti (uno più, uno meno), di incontrare uno strano tipo, o una strana situazione. Se poi quella situazione ti fa sorridere, è difficile che tu non rimanga colpito.
Ho letto d’un fiato il Breviario del rivoluzionario da giovane (Marcos y Marcos), che di tanta letteratura che mi sono sorbito di quel periodo occupa certamente uno scaffale a sé. Non fosse che per il tono semiserio della narrazione, la puntualità delle citazioni, l’irresistibile autoironia e il fluire delle parole che ti fanno tanto conversazione, racconto d’amici.
Osimo dipinge alla perfezione i suoi anni Settanta. Quelli in cui il mondo doveva cambiare, in cui bisognava contestare (sulla scia del Sessantotto) tutto e tutti. In cui erano i dogmi imposti da altri a suggerire come vestire, come mangiare, che musica ascoltare e che film guardare, che libri leggere e in quali credi credere. Dogmi che – pensate un po’ – andavano a sostituire altri dogmi che vigevano da decenni. Sempre di dogmi stiamo parlando, non di verità assolute. E questo emerge nel racconto – spesso scanzonato ma mai sopra le righe – di questo rivoluzionario giovane.
E quindi eccolo il liceale Bruno, incerto timido curioso alle prese con la schiettezza delle femministe convinte, impacciato e irrimediabilmente confuso nei freddi incontri in cui il sesso diventava un’usanza più che una scoperta anche davanti al fascino delle compagne come Amanda, onnipresente, che “…ha il fisico e il portamento della bella madre, ed è materna con tutti. Se qualcuno sta male, va da Amanda, lei lo coccola, gli parla, lo ascolta, lo consola, se necessario dal punto di vista terapeutico lo bacia e fa sesso con lui fino alla remissione almeno parziale dei sintomi…”; eccolo ancora ad ascoltare i discorsi e le ottusaggini dell’antifascismo convinto, del “…i fascisti vanno eliminati perché ce lo ordinano i dirigentini, e l’ordine non è filtrato dalla coscienza… in fondo è rilassante, per la coscienza, non dover formulare un giudizio, ma limitarsi a eseguire…” oppure nell’imbarazzo di dover scegliere la bicicletta (rossa, come i calzini e il maglione, se possibile) in piena austerity, o nell’innamorarsi di Arianna che, nello scegliere tra lui e Giordano, gli preferisce irrimediabilmente il secondo, liquidando Bruno con un “… ti voglio bene ma non ti amo…”.
Ci sono momenti spassosi, come quando si parla dei professori oppure di tutte le volte che Bruno si trova a confrontare il suo essere beneducato borghese con quello che dovrebbe essere, con la nuova beneducazione: “… il novantanove per cento della mia educazione famigliare è sbagliato, perché io sono beneducato e non sudo e non parlo ad alta voce, invece il rivoluzionario è sguaiato, è sempre sudaticcio o comunque ha la pelle e il capello lucidi e dice un sacco di parolacce ad alta voce…”
Oppure: “… Altro capitolo della nuova beneducazione è che quando si prende il metrò, non si deve pagare il biglietto: questo impone la nuova etichetta. Lo dice anche lo slogan… Trasporti gratis ai figli di operai… In manifestazione vabbè è facile, si assaltano i tornelli e chi s’è visto s’è visto, ma quando sono solo come faccio? Mi avvicino rapidamente al varco aperto riservato agli abbonati e a chi ha già timbrato, ma non mi fermo a mostrare l’abbonamento: passo avanti veloce con aria sicura e camminata spontanea, con sguardo indifferente puntato avanti. E se c’è poco passaggio e il controllore non è distratto e mi chiede di vedere la tessera?”
Ma c’è un po’ di tutto, in questo breviario. Ci sono gli spinelli e ci sono i gruppi di studio, katanga e fermi di polizia, occupazioni e volantini, le comuni e i figli dei fiori, il VéloSolex, l’utero è mio e lo gestisco io, la confusione sessuale e la presa di coscienza…
C’è la nostalgia velata per certa Italia che non torna più, un excursus tra la tivvù e i giornali, la musica dell’epoca che si voleva sovvertire con il nuovo che andava di moda ed era coscienza nuova, perché bisognava essere – per certi versi – intellettuali a tutti i costi. Anche a costo di non capirci un’acca.
C’è anche un pizzico di malinconia, in certi passaggi, ma scorre velocemente. C’è soprattutto tanta ironia, unita al disincanto, a un’abile regia dei contenuti e a una penna morbida, confidenziale.
E l’insieme è convincente.
Quindi, se volete un passaggio per gli anni Settanta, non esitate.
Unitevi a questo breviario.
Vi assicuro che sarà molto diverso da quant’altro potreste leggere sull’argomento, saziandovi lo stesso con l’irresistibile forza dell’ironia.