Le catastrofi del giorno, di Cilla Jackert
Mi è già capitato di recensire un libro di Cilla Jackert, cinquantenne svedese con una lunga attività di sceneggiatrice di serie televisive dagli anni ’90 a oggi, nonché autrice pluripremiata.
In quell’occasione, definii la sua “un lingua senza peli” per la capacità di infarcire il testo di una gradevole scorrevolezza, condita da perdonabili parolacce qua e là che trasportano il lettore nel mondo dei ragazzi — è innegabile che sia un tratto distintivo dei giovanissimi, in ogni parte del mondo.
Anche nelle Catastrofi del giorno (ed. Camelozampa, trad. di Samanta K. Milton Knowles), la Jackert si dimostra un’attenta osservatrice del popolo dei ragazzi, capace di capirne e sviscerarne le paure, i complessi, le fissazioni, le delusioni, le gioie e gli inevitabili dolori.
Majken, la protagonista, è una dodicenne che vede catastrofi ovunque, che non riesce a liberarsi di un grande pessimismo che la fa sembrare, al confronto con Calle, un coetaneo, come “…una ragazzina che a vederla dall’esterno sembrava (quasi) come tutti gli altri, ma che dentro pareva più che altro un vecchietto di novantacinque anni…”
Majken vive le proprie giornate spesso in solitudine. La mamma è impegnata nella conduzione di un piccolo ristorante di proprietà e il padre è morto quando lei era molto piccola. Proprio l’assenza del papà, scomparso davanti ai suoi occhi, è l’enorme peso che grava su loro due anche se in modo diverso.
Majken è fissata coi germi, con l’ambiente, con le stranezze, e annota scrupolosamente su un diario le notizie di tragedie, evita il cibo di cui ha sentito potenziali pericoli e questa sua predisposizione le fa allontanare persino gli amici.
Sua madre, quando non è al lavoro, alterna qualche uscita con le amiche con una gran sofferenza che la spinge spesso a piangere, durante la notte, ignara di essere ascoltata da sua figlia che ovviamente vede aumentare la propria sofferenza.
Sarà un regalo all’inizio neppure troppo gradito, un cane grasso e mangione di nome Brundel, nonché l’incontro con una stramba vecchietta di nome Maja che aspetta solo di raggiungere il defunto marito nel “boschetto della memoria”, a farle vedere con occhi diversi la vita che la circonda, a renderla cosciente che deve cercare di superare le proprie angosce e vivere un’esistenza che consolidi il rapporto con la mamma.
L’una ha bisogno dell’altra, inevitabilmente.
Sullo sfondo di questa storia, una Stoccolma estiva amata e criticata, come ogni città in cui si lascia un pezzo di cuore.
Ho apprezzato tutto il romanzo, non c’è che dire, ma l’emozione delle ultime pagine ancora la ricordo e, credetemi, di questi tempi non è affatto poco.