Fata Morgana, di Gianni Celati
Leggendo Fata Morgana si ha l’impressione di leggere un libro di avventura. A metà tra il saggio antropologico e un diario di viaggio, Gianni Celati ci fa conoscere l’ignoto paese dei Gamuna.
Ma chi sono i Gamuna, e dove vivono?
A raccontarcelo sono tre singolari viaggiatori: Augustìn Bonetti, un avventuroso pilota argentino, Victor Astafali, raffinato letterato marocchino e una suora missionaria vietnamita, la sorella Tran.
Il territorio dei Gamuna si trova a quattrocento chilometri dal mare verso nord est, protetto da un massiccio Basaltico e da un vasto deserto sabbioso che lo circonda.
Di quale mare si tratti e dove si collochi il vasto deserto però non ci è dato saperlo.
Le loro città sono il lascito di un’antica civiltà che aveva costruito palazzi, monumenti, strade e scuole. Attualmente tutto è in rovina: i palazzi crollano, i monumenti rovinano, le strade sono piene di automobili abbandonate che non servono per viaggiare ma come riparo per riposare, e nelle scuole si costudiscono i morti, abbandonati liberamente sulle cattedre.
Tutto questo non è per trascuratezza, disinteresse o pigrizia, ma perché i Gamuna ritengono non si debba intervenire sui segni del tempo. Se qualcosa crolla è giusto che debba crollare, e una riparazione o restauro sarebbe inteso come una violenza sul naturale corso della natura.
Gli ordini di valore di questo popolo sconosciuto sono inversi rispetto al nostro: la vita da svegli è una grande allucinazione, mentre il sonno è una dimensione meno ingannevole, più reale.
In sostanza, quello dei Gamuna è un popolo di sognatori, Celati racconta una comunità di visionari.
La contrapposizione tra realtà e fantasia viene così scardinata, il libro fa crollare la distinzione tra concretezza e immaginazione, ma accompagna il lettore in un viaggio fantastico presso un popolo utopistico e, proprio perché così lontano dal contemporaneo modello di uomo evoluto, ideale.