Il filo dell’orizzonte, di Antonio Tabucchi
Leggere “Il filo dell’orizzonte” di Antonio Tabucchi (Feltrinelli editore) è come addentrarsi tra i caruggi genovesi in una giornata ventosa: si viene colti all’improvviso da una sferzata gelida che screpola il viso, si barcolla sul manto stradale in preda a un turbinio di foglie che coprono la linea del tramonto e poi, tutto d’un tratto, così come ci si era scoperti al centro del ciclone ci si ritrova soli, in mezzo a una strada di nuovo deserta, a domandarsi se sia stato tutto solo un sogno.
“E così eccolo di nuovo a vagare in cerca di niente, i muri di queste viuzze sembrano promettergli un premio che non riesce a raggiungere, come se costituissero il percorso di un gioco dell’oca fatto di caselle vuote e di trucchi nel quale lui continua a girare sperando che a un certo punto la ruota si fermi e la pallina cada su un numero che dia significato a tutto. E intanto là c’è il mare, che lui guarda. Su di esso passano sagome di navi, qualche gabbiano, nuvole.”
Protagonista della storia è Spino, un uomo di cui non si sa quasi nulla se non che lavora all’obitorio, ha una compagna di nome Sara e un amico giornalista. Vive un’esistenza ordinaria, monotona, fatta di giorni sempre uguali. Fino a quando, proprio in un giorno identico a tutti gli altri, s’imbatte nel corpo di un giovane dall’identità sconosciuta. Quello che altro non è se non un caso di cronaca irrisolto diverrà per Spino un vaso di Pandora, capace di scoperchiare gli irrisolti di un’esistenza troppo a lungo sospesa.
Tra filosofia e giallo contemporaneo, a metà strada tra il romanzo di formazione e il noir, Antonio Tabucchi regala al lettore il romanzo del “non detto”: sì, perché ne “Il filo dell’orizzonte” ogni cosa “non accade” mai veramente.
Attese, ricordi che svaniscono nella mente, incontri mancati si susseguono tra le pagine in un viaggio onirico che ammalia il lettore proprio per il suo procedere apparentemente senza meta, oltre i confini della narrazione tipica.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, che dal noir si spinge verso il mare aperto, quello ligure, fatto di mareggiate e di troppo sale sulla pelle, di tramonti struggenti e di orizzonti che rimangono dentro gli occhi.
“Ha pensato alla forza che hanno le cose di tornare e a quanto di noi stessi vediamo negli altri. […]
E ha pensato che c’è un ordine delle cose e che niente succede per caso; e il caso è proprio questo: la nostra impossibilità di cogliere i veri nessi delle cose che sono.”
Spiegatemi il sunto/le cose più importanti di questo libro, pk non riesco a comprenderlo molto bene,
Grazie.
Anche io non ci capisco un tubo, Proserpina amica mia, buttiamo insieme dal balcone.