I giardini invisibili: un manifesto botanico, di Antonio Perazzi
I giardini invisibili sono quelli che dialogano con la natura in un rapporto spontaneo e armonioso che sfugge all’artificio umano. Sono situazioni invisibili perché non siamo abituati a riconoscerli, non sono l’opera di un giardiniere, ma della Natura che è al di sopra della nostra percezione.
Nel suo I giardini invisibili: un manifesto botanico (casa editrice UTET), Antonio Perazzi ci accompagna nell’osservazione dell’ambiente che ci circonda, e nel quale interagiamo, con uno sguardo entusiasta e pieno di umiltà nei confronti del macroorganismo naturale.
È come se, scendendo da un piedistallo antropocentrico che vuole l’Uomo a controllo del paesaggio, ci inginocchiassimo in un vasto prato, e ponessimo lo sguardo ad altezza dell’erba tornando a una prospettiva di diretta appartenenza e dialogo con l’ambiente circostante.
Lo stimolo è quello di osservare e comprendere la moltitudine di elementi, persone, animali, piante che fanno parte del paesaggio e riconoscere l’interazione che ognuno di questi elementi ha con esso, l’equilibrio sostanziale che permette a tutte le sue parti di connettersi in un unico universo.
Per conoscenza diretta degli ambienti in cui Perazzi, botanico e paesaggista, lavora e vive, ci vengono descritte diverse situazioni di paesaggio: da quella urbanizzata di Milano alla campagna toscana, passando per i giardini giapponesi e l’Inghilterra del sud. In ognuna di queste circostanze viene posta l’attenzione alla convivenza dell’uomo con l’elemento spontaneo e naturale, delineanosi percorsi su cui il paesaggista dovrebbe saper intervenire senza snaturare l’attitudine del luogo e il suo ritmo sociale, temporale e spaziale.
Ogni capitolo del libro è introdotto da un disegno progettuale dell’autore: segni puliti, schematici e forme geometriche si concatenano e conciliano con l’astrattismo delle forme vegetali. Il concetto di Arte è espresso in maniera molto ampia come ricerca dell’armonia naturale, riproducendone determinati canoni che ritroviamo tanto nelle arti figurative quanto nella scrittura e nella musica: vengono citati i racconti utopistici di Philips K. Dick, la musica di Brian Eno e persino le teorie sulla fotografia di Luigi Ghirri.
L’osservazione diretta e sincera del territorio porta a un’analisi spontanea delle potenzialità che esso ci offre. Frequentare un giardino, un bosco, o un parco pubblico ci aiuta a comprendere le ragioni culturali per cui essi sono stati creati e il percorso evolutivo che ha portato a un certo equilibrio tra i vari elementi che lo compongono.
Non esistono assolutismi, così come non esiste il caos in natura: esistono periodi di rigenerazione selvatica talvolta dovuti a una mancata manutenzione degli ambienti forgiati dall’uomo. La cura reciproca fra noi in qualità di esseri umani e l’ambiente è proprio quel sentimento che l’autore di questo bellissimo saggio cerca di porre come base progettuale per renderci responsabili e complementari all’ambiente stesso, ponendo una semplice ma fondamentale domanda:
“Non potremmo vedere il parco pubblico come un luogo di appartenenza che ha come unica regola la cura reciproca?”