Il gioco del buio, di Alessandra Mussolini
Le note di un pianoforte a coda riempiono l’aria e la hall dello splendido albergo immerso nel verde di Rocca di Papa. La poesia dei Castelli Romani è lo sfondo perfetto per accompagnare gli occhi di una giovane donna in ascolto, frenata dalla timidezza. Le sue remore le vincerà spinta dalla curiosità, affascinata dall’abilità di quelle mani vibranti di suoni americani che riconosce, e grazie alla tempra di sua madre romperà il ghiaccio, riuscendo infine a conoscere quell’uomo così bravo al pianoforte da lasciare una traccia di sé dal primo istante. Lei è Maria Scicolone: viso abbagliante, occhi luccicanti e una dolcezza riservata; lui, Romano Mussolini, schietto nella sua semplicità, elegante e grande amante della musica. Due anime che si sfiorano.
Sono voci, volti e vite piene di passione, uomini e donne che hanno percorso la storia di un paese in continuo movimento, in un dopoguerra dai segni ancora evidenti. Sono il percorso di una donna che li osserva insieme a noi lettori, come se tutti guardassimo attraverso una stessa finestra lo scorrere delle vite altrui, vite che hanno fatto parte, e ne fanno parte ancora oggi, di un immaginario collettivo, scorcio di storia indelebile, nel bene e nel male; vite pubbliche scrutate nel loro lato più intimo.
Alessandra Mussolini firma Il gioco del buio, romanzo uscito per Minerva edizioni, e quello che ne emerge non è la figura tenace della sfera politica o l’abile professionista della chirurgia, o la donna dalla verve che siamo abituati a vedere in tv. A raccontare la sua vita e quella della sua immensa famiglia è l’Alessandra Mussolini bambina che ha abitato quel tempo, quella parte di lei che tanto somiglia a tanti di noi, quella parte che ci parla ogni tanto all’orecchio, ricordandoci cosa siamo stati e cosa siamo ancora, riportandoci la forza della fragilità.
Una famiglia ingombrante, la sua, che porta i segni della storia, “che la storia ha percorso e tracciato”. La sua mamma, sorella di Sofia Loren, è una donna che riunisce in sé dolcezza e delicatezza mescolate alla forza e a una tenacia fatta di consapevolezza. Donna innamorata che attende e che cerca dietro le tende, nel buio immenso di un fuori che non può sempre raggiungere, il suo uomo che parte. Maria non è una donna che resta a tessere tele come una Penelope moderna; Maria accetta e capisce la libertà, perché la sua indipendenza la sa riconoscere, ha imparato il rispetto per se stessa, e saprà fare spazio a sé, all’amore per un progetto, ma soprattutto a quello per le sue figlie.
Alessandra sa raccontare in modo schietto, veritiero, empatico, l’ingombro di nonna Romilda, madre di sua madre, affrontando il difficile tema dell’amore materno che genera vita, e che quella stessa vita sa ingoiarla con una crudeltà feroce che nessuno saprebbe avere. Lei osserva e cerca di capire le dinamiche di un mondo adulto che fatica ad accettare e noi, spettatori tra le righe, riconosciamo amarezze che la culla della famiglia sa coltivare, ferite che restano per sempre. Ma Alessandra non giudica, e ama profondamente, anche quel padre dalle troppe distanze, dal nome imponente, figlio di una storia mai dimenticata, un uomo che cresce con l’amore per la musica e la libertà.
Quelle di Maria e Romano sono due figure che si fondono in un amore puro e tenace che viene messo alla prova più volte dai colpi della vita e che talvolta crea divari incolmabili.
C’è un’intera, incredibile vita tra queste pagine piene di dolcezza, prive di giudizi e colme dell’affetto di chi ancora porta in un angolo del cuore le ferite dei distacchi e che solo da adulto capisce l’ineluttabilità di certe scelte dolorose. Le somigliamo, riconoscendoci in certe fragilità bambine, che restano anche quando siamo madri e padri e le voci dei grandi rimbombano ancora nella testa, ci parlano, a volte leniscono le ferite, fanno sorridere il cuore, come quando restiamo incollati a una polaroid scolorita risentendole tutte intatte, cristalline, nella testa e nel cuore.