Gli invisibili, di Roy Jacobsen
Ci sono luoghi da cui puoi partire ma finisci sempre per tornarci. Non è detto che siano i luoghi più belli del creato, ma sono di certo quelli che in te hanno lasciato un’impronta, magari inconsapevole, e tu la porti con te e ne avverti il richiamo come alla fine del sonno avverti il desiderio di alzarti, agire, vivere.
Può essere un’isola, per esempio. Un’isola ai confini del mondo o quasi, misurabile e misurata, terra stabile che resiste alle furie del vento e del mare d’inverno.
Per i Barrøy, l’isoletta che porta il loro nome, una delle tante poste a sud delle Lofoten, rappresenta il luogo in cui vivere e lavorare, un microcosmo lontano dal quale la vita appare cosa talmente astrusa da far quasi finta che non esista.
Su quest’isola vivono Hans, il padre ottantenne Martin, la moglie Maria e la figlia Ingrid, insieme alla sorella di Hans, Barbro. Il loro è un piccolo nucleo familiare che vive di pesca, impara i segreti per produrre e soddisfare le proprie piccole esigenze in un continuo contatto con la natura a volte selvaggia, a volte tenera e premurosa.
Si alleva il bestiame in magri pascoli e si parte in mare per la pesca, si rammendano le reti e si mette il pescato a seccare per poter rivendere al meglio il frutto del lavoro. Un’esistenza scandita dai ritmi della natura e non dall’orologio, con la neve e con il bel tempo, e giorni e giorni finiscono per cristallizzarsi in una ripetitiva quotidianità che viene, ogni tanto, spezzata da eventi legati all’arrivo inatteso di estranei o da eventi improvvisi.
La vera protagonista della storia è Ingrid, la quale cresce imparando la caparbietà che gli trasmettono papà Hans e nonno Martin, ma anche il proprio ruolo femminile osservando la madre Maria e la sorella Barbro che si occupano delle reti, puliscono le piume e raccolgono le uova di estredone.
Ingrid cresce e impara anche che l’isola Barrøy richiama sempre indietro i suoi abitanti, obbligandoli in un certo senso a un isolamento volontario, a essere invisibili alla società che si sviluppa altrove. Questo si traspone nei caratteri, nella durezza e rudezza di certe espressioni, di certi modi di vivere e pensare. Fino a quando, almeno, papà Hans non si infervora all’idea di creare anche lì un molo. Un’idea giusta? Di certo, verrà spezzato il delicato equilibrio che teneva ancora in vita un’epoca altrove ormai superata ma che sull’isola, appunto, sopravviveva testardamente. Un mondo arcaico che, inevitabilmente, deve fare i conti con il resto del creato, con i cambiamenti che ogni epoca comporta.
Tutti gli abitanti dell’isola, però, avvertono la mancanza di qualcosa. Che sia l’assenza del padre allontanatosi per la pesca alle Lofoten, oppure la mancanza di un affetto che vada oltre la famiglia, come capita a Barbro, come l’avvento fortuito di nuove figure, come Lars il figlio “accidentale” di Barbro o i due fratelli Suzanne e Felix, improvvisamente abbandonati per la tragedia che ha colpito i genitori e accolti in seno alla famiglia Barrøy.
Una mancanza tale che la mente va per conto suo, estraniandosi da una quotidianità che a un certo punto diventa di troppo.
Gli invisibili è il primo volume di una saga in quattro libri, quella dei Barrøy appunto, che Iperborea sta pubblicando in Italia (con traduzione di Maria Valeria D’Avino).
Lo stile narrativo, asciutto e poetico, si sposa con una lettura agile anche se avrei gradito, a luoghi, una maggior forza interpretativa da parte di personaggi che ne avrebbero tutte le potenzialità. Ecco, forse questo è l’aspetto che mi ha convinto meno in quella che comunque promette d’essere la prima di una serie di storie valide e forti, paragonabile con molta larghezza di vedute agli scritti più noti di matrice verghiana.
Per me è così.
Buona lettura.