La guaritrice, di Philippa Gregory
“Nessuna donna è innocente. La Bibbia indica la donna come la persona da incolpare per avere portato il peccato nel mondo. Ogni cosa è colpa nostra: peccato e morte sono alle nostre porte, da ora fino al giorno del giudizio.”
Sussex, 1648. La notte è cupa, infinita, pare si possa allungare fino al giorno, confondendosi nella nebbia in un tempo sospeso e fangoso. Alinor è illuminata appena dalla luce lunare e la sua fatica non si ammanta di paura sebbene si aggiri in un cimitero in attesa di un ritorno mai compiuto: quello del marito ingoiato dal mare sei mesi prima. In quel mondo congelato nel tempo, invece, le viene incontro James, ombra di carne e ossa, fuggitivo che lei sentirà di voler proteggere e guidare oltre quel fango e quelle paludi in continua trasformazione, quelle che il mare modella a piacimento mutando ogni volta il paesaggio, trasformando tutto continuamente.
Quelle Tidelands sembrano d’argilla e sanno essere tanto o niente, come James che mostra il volto e non tutta la verità, lui che è spia e nemico e che dovrebbe aiutare il re detronizzato a evadere dall’isola di Wight dove è prigioniero, in un clima di guerra che sfianca l’Inghilterra insanguinata da battaglie senza tregua.
La paura e la superstizione si fanno strada, coprono vite, ingoiano. Alinor si muove in quel clima opaco da sola, senza un marito, ma determinata, forte, ambiziosa. Bella. Molti ritengono che la sua bellezza sia legata ai suoi poteri, che una donna con le sue doti non possa che essere una strega, da temere, da punire. La condanna sarà amare un uomo che non è l’uomo che ha sposato, un uomo fedele a un sovrano a cui hanno tolto il regno, o forse essere semplicemente donna in un tempo in cui esserlo poteva sembrare un lusso per poche.
La Guaritrice di Philippa Gregory (Sperling & Kupfer, traduzione di Marina Deppisch) incanta e ammalia, incatena, affascina, per la cura che l’autrice pone nella sua narrazione. Dipinge Alinor attraverso scelte generose e pericolose, ce la mostra in un paesaggio avvolgente come un abbraccio mortale. La sua protagonista è lavoratrice, guaritrice, madre; si pone contro la superstizione e gli sguardi lunghi del sospetto. Philippa Gregory ci racconta la vita di Alinor spingendoci a camminare con lei e le sue vesti lunghe incrostate dal fango, facendoci affondare nel pantano di una natura ostile fatta dalla terra e dalla freddezza degli uomini.
Ci racconta di Alinor ma anche di tutte le donne, quelle che devono tenere sulle spalle il peso di tutto, come se il 1600 fosse a un passo da noi; ci racconta anche di un tempo pesante in cui un matrimonio somigliava a un baratto, e una voce di donna non aveva diritto di levarsi, come lo sguardo, mai alto, ma sempre puntato nel fango. Alinor ne viene fuori vincente, sugli uomini e sulle loro condanne. È un’eroina di resistenza e fermezza nell’ombra che cerca di tenere alla luce i suoi figli e se stessa.
L’autrice delinea perfettamente i caratteri di tutti i suoi protagonisti e gestisce ogni pausa e ogni colpo di scena dosandolo alla perfezione, mescolando la realtà storica con l’invenzione e creando in questo modo un universo dal quale non si riesce a venire fuori facilmente, un universo che scatena fervore e rabbia a difesa di queste “streghe” condannate alla sofferenza per uno sguardo dato alla persona sbagliata, che scatena il senso di immedesimazione e che lascia assetati, con una grande voglia di immergersi ancora in un nuovo capitolo. Per fortuna, è una sete che si può placare perché La guaritrice è solo il primo volume di una trilogia che saprà tenere incollati alle sue pagine i lettori appassionati.