I cinocefali, di Aleksej Ivanov
Sarà capitato a tutti quelli che, abitualmente, vivono in città, di recarsi in luoghi semideserti, dove il primo pensiero che ti viene è: “Se mi succede qualcosa, qui non mi trova nessuno!”.
Certo, poi ci sono anche i villaggi di campagna, dove vivono poche anime e quando arriva un forestiero lo guardano di sottecchi, scontrosi, mettendo a disagio chiunque. A questo, aggiungeteci un’atmosfera all’apparenza normale ma con qualche spiffero di mistero, qua e là.
È un po’ quel che si respira in lungo e in largo per I cinocefali di Ivanov, uno scrittore russo contemporaneo che ha mietuto in patria successi e che per la prima volta è tradotto in Italia (da Anna Zafesova per Voland).
Tre giovani moscoviti, Valerj, Guger e Kirill, ricevono l’incarico di rimuovere e consegnare al Museo di storia e architettura di Nižnij Novgorod una particolare raffigurazione di San Cristoforo (con la testa di cane) che si trova nella località di Kalitino. Un lavoro che li vedrà impegnati al massimo una settimana per un compenso ottimale: 3000 dollari.
Quella che potrebbe essere poco più di una gita, si rivela ben presto un’esperienza segnante e incredibile.
Kalitino e i suoi abitanti sono un microcosmo in cui affiorano in poco tempo le differenze tra la campagna russa e le aree intensamente urbanizzate come la capitale, il contrasto tra certi apparenti modernismi e le architetture della società arcaica e rozza ma pur sempre genuina, e le frenesie cui sono abituati i “cittadini”. In questo contesto, Valerj e Guger sono impegnati nell’espletare il proprio incarico mentre Kirill, dopo aver incontrato Liza, si lascia trasportare dalla curiosità di scoprire le cause del mutismo della ragazza. Così apprende che nella società di Kalitino, ex campo di lavoro per criminali in cui i fuggiaschi venivano fatti inseguire da individui mostruosi dalle fattezze canine per punire il desiderio di fuga, non vi è solo arretratezza ma anche grettezza, una società abbruttita da alcool e depressione, un degrado inarrestabile dal quale è la sola Liza che sembra volersi affrancare.
Personaggi pericolosi come Lëcha Godorov e Sanja Omskij, o misteriosi come Šestakov o Romyč, appaiono come un naturale parco di coprotagonisti di una vicenda in cui nulla è come appare.
La scrittura di Ivanov rende bene l’asfissiante clima e l’apparente immobilità dei tempi e degli avvenimenti. Ma è proprio un succedersi di avvenimenti imprevedibili a svelare i misteri e a dimostrare come la campagna russa, depositaria dei veri valori della tradizione, a Kalitino sia precipitata in un abisso in cui l’abbruttimento della gente la rende vicina al modo di essere delle bestie. Chiunque di loro, quindi, sembra confermare l’esistenza dei cinocefali sotto false sembianze umane. Presenze reali o immaginarie sconvolgono Kirill che però non molla la propria ricerca della verità, ostinato a capire cosa ci sia dietro l’inquietante vicenda dei cinocefali.
Quando la storia, infine, lo richiede, Ivanov è bravissimo nel cambio di passo e lo stile, che mai lascia intentata un’ottima caratterizzazione descrittiva, prende quella strada in discesa che conduce il lettore a briglie ormai sciolte verso l’imprevedibile finale.
Tra abbondanti richiami alla storia e politica nazionale, scismi religiosi e sangue versato nei secoli, Ivanov si muove agevolmente a cavallo di più generi, lasciando il mistery in primo piano ma divagando ai margini del fantastico, con precisi elementi che riconducono all’immediatezza delle sceneggiature cinematografiche. Proprio le innumerevoli citazioni di Kirill, una sorta di rimedio sussurrato per contrastare l’incredulità dell’apprendere l’assurdo mondo di Kalitino, testimoniano la grande passione dell’autore per il cinema.
Ottima lettura. Consigliarla mi sembra il minimo.