Il diritto di opporsi, di Bryan Stevenson
Qual è la natura di questo libro? L’unica cosa certa è che leggerlo è una fortuna, perché trasmette un senso di gratitudine. Un senso di gratitudine che vibra in ogni pagina nella quale scorrono le vite di condannati nel braccio della morte di lontanissime contee in cui si consuma l’ingiustizia.
Il diritto di opporsi di Bryan Stevenson (Fazi editore, con traduzione di Michele Zurlo) è la cronaca, la narrazione della caparbietà di un giovane avvocato che, faccia a faccia con la bruttura dell’isolamento del condannato, uomo senza diritto neanche alla difesa, cerca in tutti i modi di riportare quel senso mancante di giustizia. La pena di morte nella civile e democratica terra americana che s’infrange con l’ideologia occidentale che l’ha abbattuta da tempo e i numeri delle ingiustizie: tutto ci scorre davanti con un meticoloso racconto di fatti, facce, vite e sentenze mai messe in discussione.
La forza della narrazione ruota tutta intorno a Bryan, 23 anni nel 1983, capitato forse per caso in quella facoltà di legge di Harvard scelta per trovare uno sbocco futuro rispetto alla prima opzione: filosofia. La filosofia ti aiuta a chiedere, o a rispondere, ma c’è da scegliere un futuro concreto e così Bryan sceglie e insieme a lui scegliamo anche noi, e accade così che il diritto comincia a insinuarsi sotto la pelle, il suo alto valore diventa parte di te.
Con Bryan attraversiamo le strade dell’Alabama, lunghe e larghe, accompagnati dalla musica alla radio, diretti incontro alla paura di trovarci in quel braccio della morte davanti a un uomo a cui occorre dare delle risposte, e le risposte spesso te le devi inventare: “il mio compito era quello di trasmettere a quell’uomo un solo semplice messaggio: -L’anno prossimo non verrai ucciso-”.
Così tutto assume un senso: il tirocinio in Georgia, il braccio della morte, l’uomo che ha davanti una battaglia da combattere anche e prima di tutto con la propria paura di non sapere, di non potersi difendere, di non poter urlare la verità. Insieme a Bryan viaggerà la sua consapevolezza, quella che ogni uomo è meglio di qualunque azione possa compiere, e che ogni uomo, anche un condannato a morte, ha diritto a una spalla a cui affidare i propri dubbi. Anche se è un uomo di colore con una voce piccola davanti a un coro di uomini bianchi che chiede con forza una forma di giustizia che giustizia non è.
Così il desiderio del nostro giovane avvocato sarà tutto concentrato a lottare dalla parte di chi, come lui, si trova dalla parte sbagliata per decisione altrui, indifeso, debole e privo, come lui, della forza di opporsi.
Il diritto di opporsi di Bryan Steven, avvocato, attivista per la giustizia sociale e fondatore e direttore esecutivo della Equal Justice Initiative, racconta della lotta all’ingiustizia di esseri umani discriminati, allontanati, siglati da una legge corrotta, privati della libertà anche in mancanza di prove. Un romanzo di oltre 400 pagine che non stanca mai, che aggancia il lettore attraverso la vita di McMillian, il cui errore fatale è stato quello di essersi accompagnato ad una donna bianca, accusato senza alcuna prova di un omicidio non commesso, in attesa di una data che gli indichi l’ultimo giorno di vita. Contro di lui solo il colore della sua pelle, proprio lì a Monroeville, la città di Harper Lee e del suo Il buio oltre la siepe, in cui le vicende narrate, che parlano di ingiustizia sociale e discriminazione, sono così simili a quelle del protagonista e di tanti altri degli uomini che incrociamo tra queste pagine intrise di dolore, forza e verità. Vicende vere che raccontano la chiusura mentale contro cui si scontra la forza degli attivisti senza i quali tante battaglie non avrebbero forza per stare in piedi.
Per la sua forza, Il diritto di opporsi è diventato anche un film per la regia di Destin Daniel Cretton e con l’interpretazione di Michael B. Jordan, Brie Larson e Jamie Foxx. È diventato un messaggio importante contro i preconcetti e la discriminazione razziale, un simbolo della forza e del coraggio di voler cambiare le cose, perché la giustizia possa davvero essere uguale per tutti.