Il giocatore, di Fëdor Dostoevskij
Faccio bene o faccio male?
Quanti di noi si soffermano ogni giorno a riflettere sulle proprie scelte e a chiedersi, costantemente, quale sia il giusto cammino da seguire? La risposta è soggettiva e dipende dall’insieme di valori etici e morali che abbiamo deciso di portarci dietro. Alcuni lo chiamano ‘bagaglio’, altri ‘fardello’, per altri ancora è un libro fatto di codici dettagliati che prendono in esame anche situazioni molto particolari e per pochi è un camaleontico elenco della spesa, che può cambiar dettami ad ogni soffio di vento.
Non per tutti la scelta “giusta” è quella più sensata (anche in questo caso, sensata per chi?) e questo bisogna tenerlo bene a mente quando si seguono i passi di Aleksej Ivanovic, protagonista di questo romanzo, per le strade di Rolettemburg, Germania. Precettore al servizio di un generale, Aleksej si lascia guidare dalla sua passione per la giovane Polina, che lo condurrà nelle vorticose sale da gioco. La consapevolezza dell’errore, invece di mutare la scelta, la carica al contrario di un fatalismo senza mezzi termini, di un sentimento di sacrificio che innalza il sentire. L’amore non è più un dolce scambio tra due amanti, ma la distruzione dell’uno attraverso la propria rovina e l’abnegazione.
Il Dostoevskij de “Il giocatore” è sempre il cinico e arguto osservatore che ci ha abituati a conoscere con le sue opere. La sua è una realtà “più vera della realtà stessa” e, per questo, preziosa. Insegna che le scelte, quelle, non sono mai sbagliate e che ciò che può essere folle, a volte, è solo l’inconsapevolezza.
Un breve passo tratto dal libro:
“No, oh no! Non sono stato io a riscattarvi dal carcere di Roulettenburg dove vi trovavate per un debito di duecentogulden, ma sapevo che eravate in carcere per un debito di duecento gulden…”
“Vuol dire, dunque, che sapete chi ha pagato per me?”.
“Oh no, non posso proprio dire di sapere chi vi ha riscattato”
“È strano: dei nostri russi nessuno mi conosce, e i russi di qui magari non mi riscatterebbero neanche; è da noi, in Russia, che gli ortodossi riscattano gli ortodossi. E io credevo proprio che l’avesse fatto qualche originale inglese, così, per stravaganza!”
Mister Astley mi ascoltava con un certo stupore. Mi pare che egli credesse di trovarmi triste e abbattuto.
“Mi fa molto piacere, tuttavia, vedere che avete conservato perfettamente la vostra indipendenza di spirito e persino la vostra allegria”, proferì con un’aria abbastanza simpatica.
“Ossia, dentro di voi vi rodete di stizza perché non sono né triste, né abbattuto”, risposi ridendo.
Egli non comprese subito ma, dopo che ebbe capito, sorrise.
“Mi piacciono le vostre osservazioni. Riconosco in queste parole il mio intelligente amico di una volta, entusiasta e cinico nello stesso tempo; soltanto i russi possono riunire in sé, nello stesso tempo, qualità così contrastanti. Infatti l’uomo ama vedere il suo migliore amico umiliato davanti a lui; sull’umiliazione è fondata per lo più l’amicizia. E questa è una verità che tutte le persone intelligenti conoscono, ma in questo caso, ve lo assicuro, io sono sinceramente contento che voi non siate abbattuto”.
Interessante iniziale riflessione. Ciò che in un romanzo colpisce me è la descrizione dettagliata dell’insieme della storia; i personaggi, i luoghi. I dialoghi rispecchiano in un unico modo la nostra quotidianetà, anche se il protagonista vive in un altro mondo, il quale ci potrebbe appartenere. Bel romanzo.
un agghiacciante escursus tra le tipologie dei giocatori che coprono tutte le classi socio-culturali, potrebbe essere scritto con poche varianti, ai giorni nostri… valgono anche oggi gli stereotipi legati alle diverse nazionalità: gli italiani vanesi, i francesi faccendieri, i tedeschi rigidi e severi e l’aplomb degli inglesi