Il racconto dello sguardo acceso, di Franco Buffoni
Solo lo sguardo che si accende può vedere ed esplorare, capire e raccontare. L’acutezza dello sguardo si riflette nella lunga vista dell’animo, e chi meglio di un poeta può darne dimostrazione?
Il racconto dello sguardo acceso (Marcos Y Marcos) è l’ultima fatica letteraria di Franco Buffoni, un testo fatto di racconti che s’intrecciano per temi e linguaggio o per cadenza temporale, spesso in modo riuscito e appagante.
Il racconto di Buffoni è un po’ come una chiacchierata con un vecchio amico passeggiando d’autunno lungo viali ricolmi di foglie gialle e rossastre appena spruzzate di acqua posticcia, oppure seduti su una panca a osservare lo sciabordio delle onde sulla riva del mare. E nelle chiacchierate, si sa, non v’è mai un tema fisso. Soprattutto, dal nulla, da un puntino o pretesto possono innescarsi chilometriche discussioni. E così si finisce (o si comincia) parlando del fatto di cronaca, o dell’abitudine della gente, oppure di un concetto d’arte.
I racconti di Buffoni questo fanno, e compiono un tragitto trascinante che non ha bisogno di presentazioni o spiegazioni varie. Quello che ti racconta, appunto come un vecchio amico di cui hai stima e fiducia, tanto da starlo a sentire per ore senza interromperlo, inizi a condividerlo e farlo tuo.
Diciamo pure che non ti annoi, perché d’argomenti ce n’è a bizzeffe. Esplori così il mondo dell’amore libero e dei mali del nostro tempo, del giovane che avanza annegando l’uso nemmeno troppo antico delle cose (“Il racconto dello sguardo acceso” e “Il racconto del sesso e dei mali”); apprezzi l’atteggiamento critico di chi parla del proprio pane quotidiano (“Il racconto della poesia”) con dei veri e propri passaggi di saggistica poetica, nient’affatto noiosi.
Oppure ti inoltri nell’analisi dell’inversione di personalità giovanile, non come cambiamento fisico ma mentale (“Il racconto del tomboy”), andando da Ada Lovelace a Marcel Proust, per poi passare a un mucchietto di pagine che mi sta a cuore, perché sui treni ognuno di noi alloggia parte di sé stesso, le proprie emozioni e i propri ricordi, col senso del movimento ma non della fretta, ben certi che alla prossima fermata ci sarà qualcosa di nuovo (“Il racconto dei treni”); nel “Racconto dei segni e dei segnali” scopri quanto si nasconda dietro numeri, scritte e targhe, come se un oggetto così piccolo potesse sul serio raccontare così tanta roba, ma anche quanto stia cambiando il mondo, soprattutto per chi, come l’Autore, è riuscito ad accaparrarsi più di quarant’anni di osservazioni e cambiamenti involontari della gente comune, affacciandosi su generazioni – inevitabilmente – diverse dalla sua.
Nella seconda parte, si inizia con un tema (e una storia) che sta a cuore a molti e ancor oggi ferisce: la (voluta o involontaria) miopia dell’Italia d’un tempo. “Il racconto di Pasolini” porta con sé un mea culpa, un cambiamento d’idea e una presa di coscienza, ritengo comune a molti. Dalla Diaz alle autoradio, dai pregiudizi alla fallacia del sistema di giudizio, dal caso Cucchi alle ingiustizie quotidiane di cui i giornali (e quindi noi) non parlano, Buffoni esprime le proprie esperienze (con ironia a volte dolce ma spesso amara) e le condivide con noi, ormai tenaci ascoltatori del “Racconto della giustizia”.
Regioni, pensioni, divisioni (amministrative) e ancora diritti civili, debito pubblico e senato e festività (“Il racconto della politica”). Un calderone che dice tutto ma invita a cercare ancor di più il significato delle cose che, all’apparenza, sono tanto banali da meritare al massimo una… edizione del telegiornale!
E così avanti in Europa (sono tutte condivisibili le sue osservazioni sull’attuale Europa Unita e su chi comanda, a mio avviso), il discorso sulla Svizzera, senza tralasciare l’accorato fiume di ricordi – e, credo, rimpianti – de “Il racconto di date e guerra”.
Ironico e pungente, nostalgico eppure sempre fresco nell’apprezzare, critico e lucido nell’analisi di questioni anche tecniche, come l’attuale preoccupante questione economica dell’Europa in generale e dell’Italia in particolare, Buffoni parla a ruota libera, come se volesse dire che son questi i tempi in cui i poeti non vagano per aria cercando forme nelle nuvole, ma percuotono il suolo coi loro passi e annusano, sentono, vedono e parlano.