In libreria: Quaderni e diari, Hannah Arendt
Dal giugno del 1950 al luglio del 1971 (per il 1972-1973 non ci restano che itinerari di viaggio) Hannah Arendt annota pensieri e appunti in 29 quaderni ai quali si riferirà col termine inglese notebooks (o, secondo una comunicazione orale di Lotte Köhler, col termine tedesco Denktagebuch, diario di pensiero). Non di diari in senso tecnico si tratta, ma di quaderni di lavoro, in cui i temi fondamentali del suo pensiero si confrontano di volta in volta con gli autori che più ne hanno segnato la formazione e lo svolgimento, da Platone a Kant, da Aristotele a Marx, da Hegel a Kafka.
Decisiva è, nei quaderni, la presenza degli amici e maestri, di Jaspers, Mary McCarthy, del marito Heinrich Blücher, ma soprattutto di Martin Heidegger (è un caso che il diario cominci due mesi dopo il ritorno dal viaggio in Europa, che segna il primo significativo incontro col maestro ed amante dopo l’esilio di Arendt dalla Germania nel 1933 e si chiuda nel luglio 1971, pochi mesi dopo l’incontro con Heidegger a Friburgo, quando il filosofo traccia sul quaderno la parola Ent-sagen, rinuncia? ). Ciò che fa di questi quaderni un documento assolutamente incomparabile è non soltanto che essi ci permettono di penetrare nell’officina di pensiero di Arendt e di seguirne come su un giornale di bordo insistenze e deviazioni, arresti e accensioni, «presagi e ripensamenti»; ma soprattutto che, al di là dello spazio pubblico a cui siamo abituati ad associare il pensiero di Arendt, essi ci introducono in una dimensione né pubblica né privata, che un’annotazione folgorante del novembre 1969 ci presenta come il luogo stesso del pensiero: «Il luogo del pensiero: non è nello spazio pubblico, in cui abbiamo a che fare con il mondo e con ciò che abbiamo in comune, né in quello privato, in cui abbiamo a che fare con ciò che ci appartiene e con ciò che vogliamo nascondere al mondo, e non è nemmeno nell’ambito sociale. Allora: dove? Nel deserto?»
L’autrice. Hannah Arendt (1906-75) fu allieva di Heidegger, Husserl e Jaspers. Nel 1941 si trasferí negli Stati Uniti, dove insegnò all’università di Chicago, a Berkeley, Princeton e, dal 1967, alla New School for Social Research di New York. Tra le sue numerose opere, che hanno profondamente segnato la ricerca filosofica e politica contemporanea, ricordiamo: Vita activa (Bompiani 1994), Che cos’è la politica? (Einaudi 1995), La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (Feltrinelli 2000),Lettere (con Martin Heidegger, Comunità 2001), Antisemitismo e identità ebraica. Scritti 1941-1945 (Comunità 2002), Le origini del totalitarismo(Einaudi 2004), Responsabilità e giudizio (Einaudi 2004) e Sulla rivoluzione (Einaudi 2006).
Traduttrice: Chantal Marazia.