In libreria: Quando parlavamo con i morti, di Mariana Enríquez
A comporre Quando parlavamo con i morti (Caravan Edizioni, traduzione di Simona Cossentino e Serena Magi) vi sono tre storie inquietanti in una Buenos Aires odierna e senza tempo. Nella prima quattro ragazzine comprano una tavola ouija per chiedere agli spiriti informazioni sui desaparecidos; e ci riescono, finché qualcosa non va per il verso sbagliato. Nella seconda, una giovane donna sfigurata gira per la metropolitana raccontando che è stato il fidanzato a ridurla così: di lì a poco, gli ospedali si riempiono di donne ustionate; dietro la violenza, però, si nasconde un folle e programmatico atto di ribellione. E poi c’è Mechi, che gestisce l’archivio dei bambini scomparsi (migliaia, tra omicidi, rapimenti e fughe) e si affeziona al caso di una bellissima prostituta quattordicenne; è proprio quando Vanadis viene ritrovata morta che l’orrore comincia a invadere silenziosamente le strade della città.
Mariana Enríquez (Buenos Aires, 1973) è giornalista e scrittrice. Collabora con Radar, supplemento di Página/12 e con le riviste TXT, La mano e El Guardián. Ha pubblicato Cómo desaparecer completamente (2004), Los peligros de fumar en la cama (2009) e Alguien camina sobre tu tumba (2013). Predilige le atmosfere dark, ma se altrove ha sperimentato il genere horror (come in No entren al 1408, antologia miscellanea dedicata a Stephen King), nei tre racconti di Quando parlavamo con i morti la paura ha sempre connotati metafisici e metaforici, con richiami alla storia politica dell’Argentina e alla condizione della donna.
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