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Intervista a Doris Femminis su “Fuori per sempre”

Doris Femminis
Doris Femminis

Doris Femminis è un’autrice della Svizzera italiana che la scorsa primavera ha dato alle stampe per Marcos y Marcos “Fuori per sempre”, un romanzo molto forte ambientato dentro e fuori un istituto psichiatrico. Protagoniste tre donne nel corso del tempo ospiti di quell’istituto, tre donne fuori dalle regole, fuori dal comune, alla loro maniera “contro”. Contro il sistema, si sarebbe detto negli anni ’70. La Femminis racconta in modo coinvolgente le loro deviazioni, tra le montagne svizzere, i boschi, il paesello, le famiglie, gli amici e la passione per i Jethro Tull.

Giulia, Annalisa, Alex sono al centro, ma tutti gli altri personaggi non sono di contorno, hanno una vita e delle motivazioni proprie, dai genitori ai fratelli, dai fidanzati ai compagni di scuola, dai medici alle infermiere agli altri pazienti. Leggendo le trecento e passa dense pagine del romanzo, ci si rende conto di come l’autrice svizzera conosca quello che scrive. Essendo stata lei stessa infermiera nell’ospedale di Mendrisio, racconta con umanità e senza pregiudizi questa storia del male oscuro, rendendo vere le persone che interagiscono.

È bello vedere muoversi tutti questi personaggi in una Svizzera innevata, boscosa, fatta di valli e paesini non certo da cartolina, tra momenti di perversione, gesti di ribellione e un incredibile fascino vintage. Mi ci sono perso volentieri a leggerlo, non staccando quasi mai gli occhi dalle pagine di Fuori per sempre. Da qui la voglia di intervistare l’autrice.

Come è nato Fuori per sempre?

Dal desiderio di ritrarre la psichiatria con umanità, di invitare il lettore a conoscere un mondo spesso banalizzato dagli stereotipi.

In quasi trent’anni che svolgo la professione di infermiera in psichiatria, mi sono spesso trovata spiazzata dall’immaginario altrui sull’ospedale psichiatrico. Descriverlo è stata la mia prima motivazione che poi, però, si è scontrata con la difficoltà di trovare un tono che non fosse troppo staccato o didattico, ma che rendesse vive le persone e le vicissitudini.

È stato scovando in racconti nel cassetto la figura di una bambina, che diverrà Annalisa in Fuori per sempre, e lasciandomi guidare da lei, che sono riuscita a rendere idea della sofferenza ma anche della forza delle ragazze che si incontrano nel romanzo.

E magari anche con un pizzico di divertimento.

Fuori per sempre
Fuori per sempre

C’è molto di biografico, a quanto pare: un ospedale psichiatrico dove hai lavorato, la montagna svizzera, la psichiatria … e la vicenda di Giulia?

Come me Giulia cresce in un villaggio a cavallo tra la civiltà contadina e la libertà degli anni Novanta, e vive l’adolescenza e le scelte sul futuro con apprensione. Anche le persone che le permettono di elaborare il momento di crisi nascono da esperienze che ho vissuto, anche se le ho prestate a personaggi di finzione. Le fughe dall’ospedale e le cavalcate attraverso la Svizzera descrivono avventure della mia giovinezza, anche se io, per vedere i Jethro Tull, non sono fuggita dall’ospedale.

Le nostre strade si dividono però negli anni Novanta, perché Giulia crolla ed è a partire dal momento in cui diventa consapevole delle emozioni che la abitano che può decidere di scommettere di nuovo sulla vita. Io invece a vent’anni stavo già dalla parte degli infermieri, di chi sprona e invita a non mollare.

Lo potremmo definire un romanzo politico? Ridando quel senso di impegnato, legato al sociale e al territorio, che c’era quando la politica aveva un senso e non era limitata al teatrino.

Fuori per sempre racconta il cammino di tre ragazze, ma anche di un villaggio e di una famiglia. Racconta della psichiatria e della sua evoluzione a partire dagli anni Settanta, delle sue contraddizioni e della sua umanità.

La psichiatria va da sempre di pari passo con il sistema di governo, basti pensare a come sia stata usata dalle dittature per imprigionare la dissidenza o a come il nazismo abbia iniziato la sua “depurazione” a partire dagli ospedali psichiatrici. Anche l’accoglienza che le società hanno dato alla follia è emblematico della capacità di accettare e dare un senso alla differenza. La follia è stata definita possessione, si è poi tentato di arginarla controllandola nei manicomi, negli anni Settanta si è pensato di onorarne la creatività e liberarla dalla segregazione e, negli ultimi decenni, è diventata per tutti una malattia, anche se rimane avvolta nella paura di chi è sano.

In questo momento mi sembra si democratizzi: abbiamo personaggi di finzione che convivono con malattie mentali, spesso le crisi di vita ci portano a fare dei brevi soggiorni in ospedale, e il messaggio sembra essere che tutti possiamo essere fragili o un po’ “fuori” senza che questo ci impedisca di… lavorare.

La psichiatria va a braccetto con la politica.

Leggendolo vengono in mente film anti-sistema, in particolare anni Sessanta e Settanta, ma non solo. Penso a pellicole come Qualcuno volò sul nido del cuculo, che prima è stato anche un romanzo di Ken Casey, Il grande cocomero, La pazza gioia. Quanto le senti vicine al tuo libro?

Il mio romanzo mette in scena quello che può accadere dentro un ospedale e come sia vissuto dai pazienti e dai curanti: abuso e sopruso ma anche protezione e comprensione.

Quello che lo accomuna ai film citati è la voglia di vivere che spinge a fuggire, dapprima, ma anche a tornare ad occuparsi di sé, a volte.

A proposito, ti piacerebbe vedere trasportato al cinema il tuo romanzo? Chi vedresti adatto a interpretarlo o a dirigerlo? 

Non saprei proprio, ma mi piacerebbe molto vedere le ragazze di Fuori per sempre animarsi in un film.

Ritornando allo specifico letterario: chi sono gli autori che senti più vicini a te e ai tuoi romanzi?

Ho una predilezione per gli autori sudamericani, nata dalla passione per Garcia Marquez e, attualmente, per Roberto Bolaño che, tra l’altro, compare nel romanzo.

Ma nella mia storia di lettrice mi sono anche nutrita della sensibilità di Dacia Maraini e dalla ricchezza del linguaggio di Elsa Morante.

Da anni mi stimolano le riflessioni profonde di Imre Kertesz sull’animo umano.

Progetti futuri?

Alcuni personaggi stanno emergendo e forse daranno vita a una nuova storia.

Diego Alligatore

Diego Alligatore è critico rock del web dalla lontana estate del 2003, quando ha iniziato a scrivere di rock indipendente italico sul portale della nota agenda Smemoranda. Da allora non ha più smesso, intervistando e recensendo centinaia di gruppi dell'underground di casa nostra, oltre che su Smemoranda.it anche sul BLOG DELL'ALLIGATORE, su Frigidaire e Il Nuovo Male cartacei. A gennaio 2018 fonda con la sua compagna Elle L'ORTO DI ELLE E ALLI, sito di orto bio e culture alternative, cose curate insieme con passione autentiche. In tutti questi posti non ha mai dimenticato che anche la letteratura può essere rock, parlando con giovani scrittori italici, recensendone libri, incontrandoli in alcune presentazioni. Nel 2021 è uscito con Arcana il suo "Giovani, musicanti e disoccupati", libro di interviste a musicanti indipendenti durante il lockdown del 2020. Cosa fa su MeLoLeggo? Continuerà a cercare giovani autori, parlando con loro di buoni libri, perché la vita è troppo breve per sprecarla con cattive letture.

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