Oggi intervistiamo lo scrittore Fabrizio Valenza
Ciao Fabrizio e grazie per l’intervista. Iniziamo parlando un po’ di te: sei laureato in Filosofia e in Scienze Religiose, sei un insegnante e dal 2008 hai intrapreso la carriera letteraria. Cosa ti ha spinto a iniziare a scrivere?
Ciao e grazie per l’accoglienza. Non è facile rispondere a una domanda apparentemente tanto semplice. Chi lo sa, forse il desiderio di esprimere emozioni che altrimenti avrei fatto fatica a esternare, oppure il piacere nell’inventare e nel raccontare vite possibili. Avendo iniziato a scrivere nell’85, queste due risposte sono le più probabili. Lo sviluppo e la presa di distanza da me stesso necessaria alla scrittura matura è arrivata solo dopo.
Il tuo primo libro, Geshwa Olers e il viaggio nel Masso Verde, che ha dato vita alla Saga di Geshwa Olers, è un romanzo fantasy, grazie al quale hai conquistato il pubblico più giovane. Da cosa è nata l’idea?
Gli spunti iniziali furono soprattutto due. Da un lato il desiderio di parlare di quel Dio che ho sempre ritrovato fedele nella vita: quale genere più adatto per portare alla luce tutte le sfumature del mistero che circonda la vita? All’epoca del primo brano, ovvero uno dei capitoli iniziali del V volume (I ghiacci di Passo Ceti) scritto alla fine del 1998, la presenza di Dio si fece per me fortissima, tanto da dare l’avvio a questo che considero un unico romanzo di oltre 3000 pagine. Però ci fu sicuramente anche un altro fattore importante: l’amicizia. Quella tra Geshwa e Nargolìan è l’amicizia tipica di due ragazzi che si cercano e si perdono di vista senza posa, ma da questo continuo gioco fatto di andirivieni nascono i momenti che cementificano un’esistenza. Mi piaceva scoprire in che modo i due sarebbero stati in grado di costruire e demolire le loro esistenze.
Nel 2011 ti sei approcciato al grande pubblico e hai fatto conoscere la tua saga proponendo il download gratuito dei primi sei volumi. E ancora oggi non manchi di realizzare iniziative analoghe per altre tue opere. Cosa ti ha spinto a questa scelta?
A volte bisogna prendere atto che certe opere nascono per un tipo di diffusione piuttosto che per un altro. Incaponirsi nel voler accedere alla grande distribuzione, magari privandosi di altre vie che possono dare frutti migliori, è spesso segno di mancanza d’umiltà. Tutte le volte che ho provato a proporre il romanzo con editori ufficiali le cose sono andate male. Storia di Geshwa Olers è un romanzo che richiede un approccio speciale e un notevole dispendio di energie e risorse da parte di un editore, che spesso non vuole (o non può) dispiegare. Ogni volta che invece ho provato a proporre i singoli volumi per l’editing gratuito sul web, ho sempre raggiunto grandi numeri, considerati da bestseller per l’editoria italiana che quasi sempre si muove nella scia del piccolo cabotaggio. Per quel che riguarda altri racconti o romanzi, invece, auto pubblicati, la spiegazione è molto semplice: con lo stipendio di insegnante si vive con difficoltà, dal che nasce la necessità di arrotondare in tutti i modi. Perché quindi non destinare una piccola parte della propria scrittura a questo nuovo canale pseudo-editoriale?
Hai dichiarato più volte che “i generi non costituiscono un limite ma l’opportunità per raccontare storie di vita vissuta” e, proprio seguendo questo principio, nel 2009 è uscito il romance La ragazza della tempesta. Ci vuoi parlare delle fasi che ti hanno condotto a questo cambiamento di rotta di genere narrativo?
All’inizio mi pensavo come scrittore di narrativa fantasy, forse per passione personale o per abitudine. Nel 2009 ebbi l’occasione di cogliere una sfida lanciatami dal mio secondo editore. Nel corso di una presentazione a Piacenza scherzai dicendo che mi sarei dovuto dare al romance e un editore presente tra il pubblico mi disse che se l’avessi scritto, me l’avrebbe pubblicato. Divertito da questa situazione, diedi libero sfogo alla parte romantica insita dentro di me. Grazie alla Ragazza della tempesta, scoprii che in me convivevano molti aspetti. Quello horror, colto poco alla volta tra alcune pagine di Storia di Geshwa Olers, fu il gradino successivo.
Sul web girano voci sull’uscita di un seguito. Puoi anticiparci qualcosa?
In effetti sono in procinto di scriverlo. Si intitolerà Veniva dal mare. L’argomento? La strada verso il matrimonio. Trattandosi di Lidia e Riccardo non sarà ovviamente un cammino facile, bensì costellato da insidie e pure molto divertente… per il lettore.
Con Commento d’autore, romanzo del 2011, ti sei avvicinato al genere horror e hai aperto la strada alla serie Le sette case, ambientando le vicende nella cittadina immaginaria di Verulengo. Quali sono gli autori che ti hanno ispirato?
A dire il vero, mentre scrivevo tutti questi romanzi mi capitava raramente di pensare a scrittori, sebbene possa riconoscere King e Lovecraft alle radici della mia passione per l’horror. Mi sono spesso ritrovato ispirato in maniera più esplicita da cantanti o da musiche, come il country o il rock, per esempio The Black Keys, o perfino dalla musica classica. Con il senno di poi, invece, a una rilettura di ciò che avevo scritto, ho scoperto che dentro i miei romanzi horror ci sono molti momenti “mossi” dai romanzi tra quelli di King che più mi sono rimasti impressi, come Salem’sLot, Shining e La metà oscura.
Ed ora è appena uscito per Dunwich Edizioni il tuo ultimo libro, Codice Infranto, anch’esso intriso di note horror e risvolti oscuri, a tratti soprannaturali…
Sì. Senz’ombra di dubbio si tratta del mio romanzo più crudo. La tematica è la pedofilia, un argomento difficile, a mio modo di vedere le cose perfino spaventoso, il vero horror della vita reale. C’è un Commissario di Polizia, Luigi Armentano, che si ritrova a indagare sulla scomparsa di un ragazzo e, in contemporanea, sull’assassinio truculento di un professore delle scuole superiori. Poco alla volta il Commissario scopre quali inquietanti disegni collegano i due fatti. Quando, poi, i fantasmi di alcuni bambini, vittime di violenza, tornano per vendicarsi, non c’è scampo alcuno per i carnefici.
Un tema forte, un terreno ancora poco sondato dagli autori italiani e verso il quale gli stessi lettori dimostrano una certa diffidenza, puntando maggiormente sulle opere d’oltreoceano. Quanto è difficile scrivere horror in Italia, ambientando le vicende nel nostro Paese?
In Italia non è tanto difficile scrivere, anzi, scrive perfino troppa gente. In Italia quel che è difficile è venderli, i libri, perché pochi leggono. I generi di nicchia, poi, come l’horror, vendono ancora meno, sebbene proprio nel nostro Paese vi sia una tradizione di lunga data. La qualità c’è, ma manca il coraggio della lettura. Un fatto che personalmente trovo inspiegabile.
C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori?
Certo. Leggete ancora di più, anche i generi che non conoscete o verso i quali provate qualche diffidenza: potranno riservarvi delle sorprese. Inoltre, usate il passaparola, perché soprattutto con i piccoli editori è un ottimo sistema per diffondere autori poco conosciuti che avete apprezzato.
Ti ringrazio per la disponibilità, ora non ci resta altro che correre in libreria e immergerci nella lettura di Codice Infranto. Alla prossima!
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