Jane Eyre, di Charlotte Brontë
Molti probabilmente conoscono questa storia grazie al magistrale film di Zeffirelli del 1996. Il libro, scritto da Charlotte Brönte, è parimenti emozionante, pur avendo il chiaro vantaggio, per sua natura, di poter ampliare i tempi, di prendersela comoda e raccontare ogni dettaglio con dovizia di particolari e di soffermarsi di più su taluni aspetti, così come sull’intricata trama che nel film è ben delineata, ma non del tutto espressa.
Ciò che ammalia di questo romanzo è innanzitutto la prosa, la dolce sapienza del linguaggio, l’affinata capacità di osservare e rendere, con chiara naturalezza, ogni sfumatura del mondo e dei personaggi che vi abitano. Di questi mai si potrebbe parlare con semplicità, poiché racchiudono in sé la complessità propria della vita e delle proprie esperienze, così come la coerenza di comportamento nei confronti del loro vissuto e degli ideali che li guidano, delle paure che li accompagnano.
Particolare attenzione va alla protagonista Jane che, per quanto appaia come un personaggio debole attraverso gli occhi degli altri attori in scena, si scopre nutrire dentro sé una grande, immensa passione impossibile da reprimere. Pur potendo essere mal interpretato come un innato elemento comune a tutti in gioventù, Charlotte Brönte sembra quasi voler sottolineare questa quale peculiarità propria di Jane sin dall’infanzia, descrivendone i particolari punti di vista sul mondo e le persone che la attorniano. Nonostante questa attitudine caratteriale, Jane non trasforma la sua passione in insubordinazione verso le regole della società: è la prima infatti che tende a prestare attenzione alla gerarchia, alle maniere e, suo malgrado, a percepire una grande differenza con le persone che appartengono ad uno status sociale diverso.
Charlotte Brönte trasforma poi in personaggi anche i luoghi: quest’Inghilterra aulica, spaziosa, dalle ampie colline, sembra respirare e appartenere essa stessa, intimamente, alla storia. Se ne si gusta il sapore, se ne si accoglie il freddo e il sole, la si ammira a palpebre serrate.
Gustatevela. Guardatela di notte, a bordo di una carrozza trainata dai cavalli, ascoltando i rumori delle ruote sul terreno di poco sconnesso. Fatevi guidare. Arriverete a Thornfield in men che non si dica ed è probabile – più che probabile – che desideriate potervi rimanere almeno un’ora. Magari un giorno. O forse molto, molto di più.
Questo capolavoro venne pubblicato nel 1847, nello stesso anno in cui videro la luce anche i romanzi delle sorelle dell’autrice, parimenti intensi: “Agnes Grey” di Anne Brönte e “Cime tempestose” di Emily Brönte.