La fabbrica delle ragazze, di Frank Iodice
Incontrare parole: non esiste antidoto migliore per la sopravvivenza. Le parole Frank Iodice le cura, tenendole, donandole, senza chiedere nulla in cambio. Di sé stesso dice di essere poco mediatizzato, eppure ha alle spalle e tra le mani quindici romanzi, due raccolte di racconti e l’orgoglio di vederne alcuni diffusi nelle scuole grazie all’associazione culturale Articoli Liberi.
Frank Iodice è napoletano di nascita ma viaggiatore dall’esistenza altrove, prevalentemente — e forse anche attualmente — tra Nizza e Marsiglia, con mille mestieri sparsi per il mondo; i viaggi li ha fatti prima con le parole seguendo a dodici anni la sua propensione, quella con la quale si nasce: scintilla è la curiosità, che lo ha portato a cercare tra pagine e parole la possibilità di reinventare storie, come non si può sempre fare con la vita.
E tra le pagine de La fabbrica delle ragazze (Articoli Liberi, Marsiglia, 2006) si compie tutto quel mondo, di storie e di vita, raggiunto dalla testa e dai piedi, creato da mani e pensieri. Quindici racconti slegati tra loro eppure parte di una stessa trama come intrappolati in un’unica ragnatela; elemento comune forse quegli antieroi tanto amati, e una donna sempre al centro di tutto. Una donna morbida, ambigua, sanguigna o timorosa, una donna esaltata, dai modi erotici, accentratrice che riempie ogni spazio, che gioca la parte fondamentale e dona senso a un tutto, mescolandosi tra le costruzioni oniriche di un sogno comune.
Frank è una voce che appare sempre nuova in ogni racconto, e ogni racconto è sempre un nuovo mondo e un eterno primo appuntamento. Ogni voce è un coro di voci illuse di essere differenti. Ci sono momenti di eleganza unica, rispetto e valore per la parola, caratterizzati da un’aria antica ma presenti in una moderna composizione.
La fabbrica delle ragazze è una fabbrica di idee rivoluzionarie ed eccentriche con pagine che sembrano poesie ermetiche o strade elegantissime con angoli dietro cui ci si aspetterebbe di veder spuntare le eccitanti impronte barocche di un Maupassant, con un po’ di ironia a stemperare; pagine che ti fanno spalancare occhi e bocca, che ti solleticano con storie che tentano la fuga come palloncini nell’aria.
E poi c’è tutto un battere di ciglia di donne dai seni ingombranti, credibili (e incredibili) cuori di femmine robot che rubano cuori pulsanti, inquietanti anime sospese che tagliano lingue che non sanno tenere il fremito dell’impulso d’amore. E l’autore è lì che tiene i fili come un abile burattinaio, e tra i suoi fili intrecciati ci troviamo noi, noi lettori, che restiamo assetati e desiderosi, dopo ogni finale, di poter bere un nuovo sorso di storia. E quella che ci accoglie è sempre una nuova trama più forte che dal suo burattinaio sembra tentare di svincolarsi per rendersi indipendente e muoversi da sola quasi volesse andare, essa stessa, alla ricerca del lettore, l’ultimo dei suoi personaggi, quello che rimane a guardare l’esistenza degli altri come il portiere di notte, poggiato alla ringhiera dell’esistenza.
La poesia delle parole di Iodice si fa strada tra l’odore di fiori ammuffiti di una vecchia moquette e il profumo di croissant di un albergo pomposo e disperato, tra l’urlo dei gabbiani e il grigio palpabile di vite che quasi si possono toccare, tra le parole. Un po’se stesso, un po’ il suo alterego, Frank Iodice narra la vita accompagnandoci per mano, riportandoci al tempo in cui eravamo ancora dei bambini stupiti di tutto quello che ci si presentava davanti agli occhi.