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La figlia femmina, di Anna Giurickovic Dato – intervista

La figlia femmina
La figlia femmina

Gli odori e i colori stordenti di un suq permeano un racconto che ricorda un tempo brevissimo. Ricorda un giorno soltanto capace di contenere una vita intera. La scrittura è dolorosa, attentissima. Ed è difficile affondare le mani nel dolore più inimmaginabile, quello che tocca i sentimenti nella sua forma più ancestrale: il bisogno e la necessità di essere figli di padri tanto affettuosi nella loro amoralità da confondere. In questo caso è Maria a confondersi, ragazza dolcissima e straziata ma anche dura e crudele, con mille facce a nascondere il tormento di non essere capace di codificare e decifrare il perché di quelle mani ruvide che scivolano nell’anima e sotto la sua gonna, bambina innamorata di suo padre come qualsiasi figlia lo è.

La figlia femmina, di Anna Giurickovic Dato (Fazi editore), è un romanzo che tocca lo parla dello strazio dell’incesto trasformandolo in urlo perenne e silenzioso, un urlo muto alle sorde orecchie di una madre infantile che non riesce e non sa ascoltare. Maria è una bimbetta dondolante sul ventre di un padre dall’anima sporca che vive nell’apparente quiete di una famiglia perfetta: lui uomo integerrimo, stimato, cova la macchia più nera per un amore che dovrebbe essere solo paterno ma tale non è.

La figlia femmina è un racconto difficile, da coprirsi gli occhi, un racconto spinge alla fuga perché si vorrebbe non vedere e non sentire lo strazio di una bimba, piccolo animale ferito nell’intimo. Nessuno vorrebbe restare imbrigliato in un tale dolore, che tuttavia bisogna imparare ad affrontare con lucidità per non lasciare che la polvere del rancore e del dolore appanni anche il cuore.

L’autrice ci racconta qualcosa in più sul suo romanzo.

Come nasce un racconto così doloroso?

Nasce dall’esigenza di parlare di un argomento di cui non si vuole parlare. Un vero e proprio tabù, fenomeno molto diffuso, ma fantasma. Le vittime delle non parole, delle mancate denunce, sono le vittime più innocenti. È come se nell’immaginario comune la famiglia fosse sacra e non potesse essere messa mai in discussione, questo a scapito dei suoi componenti più deboli: i bambini e le donne. Ciò che tiene legati al silenzio e all’accettazione passiva è l’amore, questa è la peculiarità principale dei crimini familiari: proprio come il poco amore, anche il troppo amore può sfociare in una forma di maltrattamento.

Ci vuole raccontare un po’ di più su Maria e della figura di sua madre?

Maria, bambina violata, si trasforma in un’adolescente problematica e gioca usando la propria sensualità come arma di vendetta nei confronti della madre che non ha visto o non ha voluto vedere. Silvia è una madre disattenta e una moglie affettivamente dipendente. La dipendenza affettiva porta alcune donne ad accettare situazioni che nessuno mai accetterebbe, e all’incapacità di mettere in discussione l’oggetto assoluto del proprio amore intorno alla cui orbita la dipendente ruota. Eventi particolarmente traumatici, come è certamente la scoperta di un abuso tra le mura domestiche, possono portare a una profonda negazione. Da qui la figura di una madre che qualcuno chiamerebbe connivente.

Ha seguito l’onda di un’ispirazione come un flash, oppure il romanzo è frutto di uno studio più approfondito sui rapporti umani, filiali e paterni?

Ho studiato molto – sia dal punto di vista giuridico che da quello psicologico – il fenomeno dei crimini familiari. Ho ricevuto anche testimonianze dirette e da qui l’ispirazione. Ciò che più mi interessava era ricostruire una situazione di abuso al di fuori da ogni stereotipo, superando il binomio vittima/carnefice e provando a entrare in una dimensione psicologica più complessa. Non è dai “mostri” che bisogna difendersi, ma dagli esseri umani più insospettabili, quelli che entrano nelle nostre case.

Come nasce il suo percorso? Ci sono autori che l’hanno in qualche modo ispirata?

Uno degli aspetti di cui più si discute riguardo a La figlia femmina è: Lolita o non Lolita. Durante la scrittura avevo sul comodino due romanzi: la Lolita di Nabokov e Gli indifferenti di Moravia. Di questi due romanzi mi sono servita per costruire il personaggio di Maria. La Lolita di Nabokov è più giovane, più spensierata, più giocosa; la Lolita di Moravia è una quasi adulta, più fredda, più passiva, e la sua seduzione è tutta rivolta all’unico scopo di ferire la madre. Maria è una Lolita? Si comporta come tale per gran parte del romanzo perché spesso le bambine abusate tendono a “sessualizzare” tutti i loro rapporti. Non è né la Lolita Nabokoviana, né quella di Moravia; ha caratteristiche proprie e calibrate sul trauma che ha vissuto. Questi due colossi letterari, tuttavia, mi sono stati fondamentali per costruire il personaggio di Maria insieme ad altre letture, non solo letterarie ma anche, e soprattutto, scientifiche.

Cosa si aspetta che possa provare il lettore ad immergersi nella sua Figlia femmina“?

Mi aspetto che provi attrazione e disturbo insieme, che ne esca affascinato e amareggiato e che questa varietà di sentimenti contrastanti possa portarlo a una riflessione costruttiva.

Si giunge a una forma di assoluzione, un perdono finale o una sorta di risoluzione?

Non posso essere io ad assolvere, né a perdonare. E così Maria non perdonerà, finché sua madre non si metterà nella condizione di essere perdonata. Il finale è aperto perché vuole sollevare un problema, non suggerire soluzioni; oppure è chiuso perché, in una breve frase determinante, lascia spazio a una piccola speranza. Nel romanzo ho inserito una fiaba sull’arte del Kintsugi che penso possa essere una chiave di lettura: ciò che è rotto può sembrare più bello se lo si aggiusta con colate di colla d’oro; e così il dolore può essere motivo di crescita e bellezza, un nuovo punto di partenza da mostrare con orgoglio e per cui non portare vergogna.

Stefania Castella

Mi chiamo Stefania e sono nata a Napoli da padre con occhi trasparenti e madre con lunghissimi capelli biondi e gonnellone hippy. Non so perché ve lo dico, solo perché tutti scriviamo dove nasciamo e nessuno da chi. Sono grafica pubblicitaria e soprattutto mamma a tempo pieno e indeterminato. Scrivo da quando ho imparato, leggo da sempre e ascolto da molto di più. Mi piace leggere e raccontare storie, dare voce. Scrivere è la mia esigenza, la mia necessità. Mi piace raccontare ciò che ho letto cercando di trasmettere l'emozione che ho provato, lasciandovi entrare nel viaggio che ogni scrittore regala. Se questo si chiama recensire, allora recensisco. Cosa fa su MeLoLeggo? Quello che amo fare: immergermi in una storia di carta, con rispetto e onestà, affiancandomi con voi alle pagine e percorrendo lo stesso bellissimo sogno. Ogni scrittore partorisce le sue creature con amore e fatica, quello che possiamo fare è raccogliere la sua storia. Se una storia non piace non si può stroncarla, solo evitare di raccoglierla, no?

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