La resistenza del maschio, di Elisabetta Bucciarelli
Raccontarvi la trama, potrei, togliendo al libro ciò che è essenziale, il percorso, l’atmosfera la parola accorta, studiata, matematica. Elisabetta Bucciarelli costruisce La resistenza del maschio (NN editore) mettendo insieme, come ha fatto sempre fino ad ora, una storia incredibilmente credibile, come la vita è.
Una donna, altre donne, un uomo, altri uomini, il loro essere sé stessi nel mondo che stringe, che soffoca. Un Uomo e la misura delle cose intorno: egli calcola – non può farne a meno – lunghezze, altezze, dimensioni, intervalli. Conosce la misura di ogni cosa, degli archi, delle torri, dei sentimenti, spazio preciso, misura della distanza dalla sua donna, dalle responsabilità, l’altezza dell’ennesimo vaso di cristallo infranto contro una porta sbattuta. Calcola la misura delle sue certezze, l’intervallo negli occhi ammirati dei suoi studenti. E poi Lei che vuole un figlio, per amore. Di Lui? Di se stessa? Di una creatura costruita ancora prima di esistere? L’Uomo ha tutto, tutto quello che forse gli basta, non vuole gabbie, non vuole costruzioni intorno alle sue convinzioni. Spiazza. Ama, a suo modo.
Geometrie si dissolvono, tante volte per realizzazioni accidentali. Dentro, fuori, per caso, per involontarie volontà.
Lui che penetra in un’evasione senza osare, che non esce mai dalla dimensione lineare della sua via, retta che si inarca, che devia, distorta da un incidente, percorso deformato da una casualità. Oltre ogni calcolo, logica, distanza…
“Misura perfetta. L’unica variabile era dentro la macchina. È una donna”.
Contemporaneità, un involucro di sala d’aspetto medica, tre donne. Lo spazio ristretto dell’attesa rende l’illusione dell’amicizia, della condivisione. Nasce il gioco, mano di carte da scambiare una con l’altra, ignorando di tenere in mano lo stesso gioco. La vita lo fa, si diverte spesso, ci gioca quasi sempre.
Gioca con le sue pedine sulla scacchiera, le ruota, le sposta, le incrocia, mescolando gli incontri, i desideri, i fallimenti, le illusioni, le allusioni. L’autrice lascia che giochino le sue tre donne, le loro pance, il loro cuore, i loro ventri, di vuoti, di pieni. Spegne le luci e accende, acuendole, le ansie. Una donna, una comune all’altra, stessa donna, stesse donne, un solo uomo, un uomo solo.
Pieno di sé, vuoto di sé. Resiste, insiste, assiste, allunga, si protende alla ricerca, si ritira nel dolore di una mancanza. Messaggi sospesi, volti senza volto. Silvia, Chiara, Marta, e poi Emme ed Effe, iniziali, inizializzazioni di desideri di iniziare, e poi negarsi, perché la vita quotidiana pone tutti nella stessa infelicità, quindi meglio fingere di abbracciarsi.
Donarsi, seme al mondo, e poi smettere l’idea di essere padre, essere padre di tutti, senza mai essere padre veramente.
Banalità di uomini incastrati nei loro schemi. Uscire fuori dilaterebbe le misure, sposterebbe gli spazi allargandoli, nessun controllo più, mancherebbe la misura geometrica dell’amore perfetto, o anche solo dell’amore e basta.
Elisabetta Bucciarelli racconta come un poeta, e spinge in avanti descrizioni dettagliate, quasi filmiche, restituendo una visione di noi stesse, delle quotidiane lotte, delle convinzioni estreme. Non sempre solo da una parte sola. Dalla parte del maschio, maschio che illude, che resiste, che ci illudiamo resista. Come una donna? Un romanzo è un accordo di cori, di voci diverse, non c’è sempre soltanto il soliloquio di una voce.
Nello spazio della costruzione, a pezzi l’anima, a pezzi il mondo e la sua visione di noi. Affettuosità anaffettive, sguardi che provengono dal di fuori, e dentro a chiedersi come ci vedranno gli altri. La costruzione dell’amore, costruzione di noi stessi, legata alla nostra identità. Siamo, finché siamo ciò che appaiamo al mondo. E linee che si spezzano perché non tutto si può allineare nella vita. Misure, distanze, angolazioni, le curve della vita ci sorprendono, ci spiazzano gettandoci nel caos, incontrollate pieghe, percorsi di dubbi ed incertezze, vita da percorrere. Donne tessitrici di un invisibile filo di Arianna, che se si spezza, non dà più ritorni. La meraviglia si muove tra le righe, sospende, stupisce, riempie, lascia varchi di scelte, sempre o quasi, come fa la vita sempre, o quasi.
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