La sciagura di chiamarsi Skrake, di Kjell Westö
Esistono persone con peculiarità caratteriali tanto rilevanti e singolari da risultare delle eccezioni già per la loro esistenza. Non di rado, queste persone hanno una propria visione della vita e sono forgiate con una personalità sufficientemente forte da seguire sempre e comunque la propria strada anche contro i fallimenti e le opinioni contrarie della gente.
Un po’ come novelli Don Chisciotte alle prese con la modernità senza saperne o volerne accettare le regole e l’omologazione.
La sciagura di chiamarsi Skrake (in Italia con Iperborea, trad. di Laura Cangemi) è una storia che parla di questo tipo di persone, scritta di pugno da Wiktor, scapolo quarantenne e pubblicitario di successo che decide di abbandonare tutto per tornare a Råberga, il luogo natìo, spinto dall’esigenza di capire sé stesso e scavare nella storia pregressa della famiglia per svelare l’intrinseca vocazione al fallimento che sembra essere il marchio di fabbrica degli Skrake.
Così facendo, la memoria lo conduce a riscoprire i vari episodi di cui è stato testimone oppure che ha appreso per bocca d’altri, episodi che hanno spesso come protagonista il padre Werner e le sue “passioni” per Elvis Presley, Jurij Gagarin e la pesca dei Pesci d’Argento, il lancio del martello, ma anche la sua genialità intrinseca e l’abilità maniacale nel realizzare i propri sogni che immancabilmente, però, diventano inesorabili catastrofi.
Non mancano escursioni nel passato della famiglia, al nonno Bruno e le sue esperienze di guerra e allo zio Leo, colto idealista dal pensiero libero, ma il personaggio principe è e resta proprio papà Werner, uomo che ha trasmesso al figlio una incancellabile predisposizione all’essere ritenuto un “…Balordo con le Pigne in Testa…” perché “…la fantasia e l’intelligenza di Werner non si combinavano con particolare doti pratiche…”.
Il bello di Werner Skrake è l’incrollabile fiducia nelle sue passioni e in un modo di vedere la vita che, seppur costellato di fragorose sconfitte, gli permette di dedicare “…il suo tempo a spaccare immense cataste di legna di prima qualità anche se avevamo il riscaldamento a gasolio…”.
La sciagura di chiamarsi Skrake è una saga insieme poetica e punteggiata di ironia, a volte triste ma sempre piena di candore e nostalgia. Un romanzo che diventa l’emblema di chi non accetta le condizioni del mondo, anzi ne detta di proprie, anche se queste sembrano campare in aria, perché se si deve affondare perché è il proprio inesorabile destino, è meglio farlo con le proprie idee che non a causa degli errori di altri.
La sciagura di chiamarsi Skrake è un libro da leggere lentamente, assaporando i passaggi, l’ironia, compiacersi delle assurdità apparenti, apprezzando la poesia di una terra in cui la luce esterna e quella dell’anima hanno avuto, hanno e avranno sempre un colore differente che altrove.