La sposa bianca di Ousmane, di Mariama Bâ
Ho acquistato La sposa bianca di Ousmane in spiaggia da un venditore ambulante. Il nome di Mariama Bâ non mi sembrava sconosciuto, e in effetti mi è bastata una veloce ricerca per ricordare di averla già sentita menzionare in relazione al tema della difesa dei diritti delle donne.
Nata nel 1921 a Dakar, ricevette un’istruzione non comune per le donne senegalesi dell’epoca e fu molto attiva in diverse associazioni femministe. Scrisse due libri, uno dei quali quello che mi sono ritrovata fra le mani quasi per caso e che si è rivelato una perla rara.
La vicenda che racconta ha inizio al termine degli anni Sessanta quando Ousmane, giovane senegalese di umili origini, conosce Mireille, figlia di un agiato diplomatico francese. La prima parte del romanzo si concentra sul loro idillio: una storia d’amore capace di superare la distanza e la separazione forzata.
Nella seconda parte, incentrata sulla vita matrimoniale dei due protagonisti, la storia si fa paradossalmente meno personale e più sociale. È a questo punto infatti che emergono le tematiche che stanno maggiormente a cuore a Mariama Bâ: la poligamia, la disparità fra uomini e donne nella cultura africana musulmana, la negritudine. Proprio quest’ultima – o forse la sua estremizzazione – sembra essere la fonte principale di alcuni problemi che assumono proporzioni via via più insormontabili.
Mariama Bâ dipinge il quadro di una società in cui i matrimoni misti non sono ben visti, né dai neri né dai bianchi, e l’apparente apertura nei confronti del mondo occidentale viene soffocata dal forte attaccamento alle proprie radici. La critica che emerge va però interpretata nel modo corretto. L’accusa non è rivolta a Yaye Khady, la madre di Ousmane, e a chi, come lei, manifesta fin da subito e con chiarezza il rifiuto di Mireille – anche se una maggiore umanità appare comunque auspicabile – ma piuttosto all’ipocrisia di Ousmane, che tradisce quei valori occidentali che affermava di condividere.
Ammirevoli sono, al contrario, i sacrifici di Mireille e il suo tentativo di adattarsi alla cultura senegalese, nonostante siano in molti a ricambiare tutto ciò con ostilità e ben pochi prendano invece le sue difese.
Se a volte lo stile delude un po’, apparendo in alcuni punti troppo semplicistico, rimane comunque efficacemente essenziale e diretto, e viene compensato dalla maestria di Mariama Bâ nel condensare in questa storia tematiche universali sempre attuali come l’amore incondizionato, il coraggio, la solitudine, il razzismo, l’ipocrisia e l’incomprensione, presentandoci al tempo stesso un’immagine preziosa della cultura e delle dinamiche sociali senegalesi.
Ciò che mi stupisce è che questo libro, pubblicato da Giovane Africa Edizioni, sia pressoché introvabile. Credo che valga davvero la pena provare a recuperarne una copia (la versione originale, in lingua francese, si intitola Chant écarlate) e magari spargere un po’ la voce, perché Mariama Bâ è senz’altro un’autrice che merita di essere letta ancora oggi.
Quindi il romanzo termina davvero con questo finale aperto: “Lane-la?”… Che angoscia!