L’annusatrice di libri, di Desy Icardi
«Ora i volumi tutti intorno spandevano prepotentemente le loro fragranze, tra le quali prevaleva il profumo d’incenso e l’odore umido e maestoso delle cattedrali. Adelina iniziò a prendere in mano testi a caso: alcuni odoravano di rose, martirio ed estasi; altri di pane e carità; altri ancora avevano il sentore asprigno della pedanteria e l’appiccicoso aroma della retorica. Infine, l’avida lettrice decise di farsi sedurre da un altro paio di profumi: quello di un grande volume che odorava di gelsomino e un altro proveniente da un libriccino che sapeva di legno di sandalo».
È così che compaiono le parole sotto gli occhi, meglio dire il naso, di Adelina, quattordici anni nel 1957, giovinetta in anni di costrizione e di sprazzi di emancipazione strappata a fatica. Il suo disagio senza tempo e senza epoca pare invece un esercizio compiuto dall’autrice perché si impari a gestire quel dono che dovrebbe toccare a tutti: l’empatia.
L’autrice di questa meraviglia de L’annusatrice di libri (Fazi editore) è Desy Icardi, che compone un romanzo tenero, di una dolcezza palpabile e dolorosa.
Tra le pagine incontriamo Adelina, che divide i giorni con la zia Amalia, avara di gesti amorevoli e dalla parsimonia esasperata, cui impareremo presto a dare una giustificazione. Tra loro, storie che si intrecciano intorno alle pagine di libri che la ragazzina dagli scarponi di campagna e il desiderio di un cappellino come quello delle sue compagne legge senza aver bisogno di occhi. Adelina ha un dono, che è qualcosa che fatica a riconoscere, che un po’ la spaventa, un po’ la eccita, perché le parole agli occhi scappano via da ogni parte, al naso invece non sfuggono, si parano davanti a lei chiare come se fluissero da una lettura qualunque.
L’annusatrice di libri è un romanzo che incolla, trattiene il lettore, lo avvicina lasciando che ogni parola prenda un posto nel cuore al fianco dello sguardo. Si legge d’un fiato, si ascolta col cuore. Si trova in una dimensione a metà tra una bella favola e la scoperta di una commedia umana che speri con tutte le forze possa propendere per la giustizia. C’è la fragilità di queste signorine che si aiutano l’una con l’altra negli anni in cui la scuola è un’istituzione in cui ti bacchettano per le labbra rosate di belletti vietati. C’è un intreccio di vite in cui scorre nel mezzo la vita di zia Amalia dall’anima lieve, sempre in colpa per qualunque cosa, sempre alla ricerca di un posto caldo se non al sole almeno al riparo di un marito facoltoso negli anni guerrafondai in cui una donna deve imparare a gestire il presente e il futuro.
Quanta storia e quante storie insieme, in questo originale romanzo in cui la protagonista raccoglierà attraverso l’odorato tutte le storie racchiuse nei libri che accolgono vita, e non solo quella che narrano, ma quella di chi legge lasciando scie, impronte, che turbano, e invitano e confondono.
La dolce Adelina avrà timore e gioia per questo dono strampalato e oscuro e imparerà a gestirlo senza sentirsi sola e diversa, o almeno illudendosi di non esserlo; mentre forse, lontano dal romanzo, immaginiamo possa realmente vivere in uno spazio concreto e sentirsi diversa, sì, ma solo perché speciale. Perché un buon libro questo può fare: insegnare a vivere e a sopravvivere, a rendere possibile l’impossibile. A immaginare che possa esistere, per lo meno, e insieme ad esso la verità, anche una volta letta l’ultima pagina.