L’invenzione dell’amore, di José Ovejero
Quanto è stato scritto, nei secoli, sul tema dell’amore. Quante volte si pensa di essere originali, che certe cose capitino solo a noi, e poi scopriamo che invece già altri hanno vissuto una situazione simile alla nostra?
Si potrebbe stare a disquisire per ore, sul tema dell’amore. Nessuno ne verrebbe a capo perché, a voler accumulare una sull’altra tutte le storie, le varianti, le assurdità e le bellezze, il fascino e il terrore che sono legati, in un modo o nell’altro, a queste cinque lettere affilate, si arriverebbe a una torre infinita, di cui appunto nessuno potrebbe vedere la cima.
José Ovejero, l’autore de L’invenzione dell’amore (Voland, traduzione di Bruno Arpaia), è uno scrittore madrileno che abita all’estero, attualmente a Bruxelles, per essere precisi. Alterna l’attività di scrittura con quella di interprete, ed è proprio la sua Madrid la città in cui è ambientato questo romanzo strano, ma non troppo.
Perché strano? Non certo per i soliti motivi, ma perché parla d’amore. Ed è strano a prescindere. Perché non solo parla d’amore, ma ingrana a partire da un funerale. Il funerale di una donna di nome Clara.
E quindi? Quindi, il protagonista Samuel è un uomo che alterna relazioni senza impegno con l’attività dell’azienda di cui è socio con la stessa superficialità che contraddistingue molta gente, nella nostra società così sovraffollata da isolarci gli uni dagli altri, in un controsenso unico. Un giorno riceve una telefonata che gli annuncia la morte, per un incidente, di una certa Clara.
Chi è Clara? Molti di noi avrebbero chiuso la telefonata con un “…ha sbagliato numero…” oppure “…Grazie di avermelo detto…” per poi dimenticarcene appena riattaccato.
Samuel, invece, non fa né l’una né l’altra cosa. La curiosità lo prende e decide di scoprire chi è questa Clara, e perché qualcuno ha deciso di scambiarlo per un’altra persona. Così facendo, ovviamente, s’imbarca in una paradossale esperienza-avventura, andando in contro al rischio di essere malmenato dal marito di Clara, al funerale, e di non capire mai come muoversi, cosa dire o credere. Ma ciò non basta a distoglierlo dalla pazzesca idea che gli ha intasato il cervello. L’affascina, ormai, l’idea di sostituirsi a questo personaggio per il quale è stato scambiato, e come attrattiva sembra migliore della sua vita monotona.
Pian piano, il vero (falso) Samuel si addentra sempre più in una storia non sua, scoprendo chi è Clara dal racconto che ne fa sua sorella maggiore, Carina.
Dapprima sospettosa, sulle sue, Carina si apre pian piano davanti alla buona capacità di mentire di Samuel. Eh sì, perché Carina vuole che sia Samuel a parlarle della sorella defunta, di come era quella ragazza ribelle che lei credeva di conoscere e invece non conosceva. Tra le varie cose, come per caso, salta fuori anche il vero Samuel che aveva una relazione con Clara.
Come andare avanti, in una situazione simile, senza farsi scoprire, senza far crollare il fragile castello di carte che si basa su tutta una serie di menzogne, e neppure a fin di bene?
La vita di Samuel (quello iniziale), per questo, comincia a prendere un’altra piega che, seppur non appaia negativa, non è per forza di cose positiva. Almeno, non si riesce a capire, e il gioco va avanti senza controllo, fino alla situazione in cui non si può tornare più indietro.
Cosa accade, allora? Accade quel che il primo Samuel mai avrebbe immaginato, e che dà finalmente un senso al romanzo.
L’assurdo si defila e cominciano a emergere dei tratti distintivi, fino all’evoluzione finale della storia. E se ci pensiamo bene, la storia infine si dimostra molto meno assurda e attuabile di quanto non sembri in partenza.
Stile semplice quello di Ovejero (almeno nella traduzione di Bruno Arpaia per Voland), senza inutili ghirigori, per narrare una storia moderna, cittadina, come tante che, pensandoci bene, non dovrebbero neppure troppo sorprenderci.
Che altro dire, se non: Buona lettura?