L’oscura immensità della morte, di Massimo Carlotto
Un tragico fatto di cronaca si trasforma in un incubo, e non esiste più il confine tra vittime e carnefici
Duro, cupo, nero, intenso. Non bastano gli aggettivi per descrivere L’oscura immensità della morte (E/O edizioni), un romanzo che colpisce come un pugno allo stomaco spezzando il fiato. Carlotto affronta il tema del perdono delle vittime e il percorso di solitudine di un uomo privato tragicamente dei suoi affetti.
Una rapina finita male: due uomini imbottiti di droga tentano l’assalto a una gioielleria ma qualcosa va storto, perdono qualche attimo di troppo e la polizia gli è addosso. Uno dei malviventi riesce a scappare, l’altro nella fuga disperata prende in ostaggio una donna con un bambino. La situazione gli sfugge di mano e finisce per colpire a morte gli ostaggi.
I due rapinatori a volto coperto si danno alla fuga, uno viene catturato mentre l’altro riesce a scappare con il bottino. La donna, ancora viva, viene trasportata in ospedale; il marito sconvolto, arrivato al capezzale della moglie, riesce solo ad ascoltare le sue ultime parole prima che muoia: “È tutto buio, Stefano. Non vedo più nulla. Ho paura, ho paura, è buio.”
Parole di disperazione che annunciano l’oscura immensità della morte che l’attende e resteranno per sempre impresse nella mente dell’uomo. Da quel momento Stefano Contin non sarà più lo stesso, accecato dal dolore e dalla disperazione.
Raffaele Beggiato, il rapinatore arrestato, nega di essere l’autore dei delitti e sceglie di non collaborare con gli inquirenti. Il suo atteggiamento irrita la giuria, che lo condanna all’ergastolo; dall’istituto penitenziario decide di scrivere una lettera a Contin per chiedere di incontrarlo e ricevere il suo perdono…
Da questo spunto narrativo il romanzo entra nel vivo, aprendo nuovi scenari in una trama non certo scontata. Nella mente di Contin scatta qualcosa, un progetto malvagio partorito da una mente malata, e si viene trascinati nel mondo di un uomo devastato dal dolore che si lascia travolgere dagli eventi fino alla deriva, in una sorta di annientamento emotivo che lo trasformerà in un soggetto cinico e privo di scrupoli il cui unico obiettivo è la vendetta contro gli assassini della sua famiglia.
Lo schema narrativo utilizzato da Carlotto prevede il racconto da un doppio punto di vista: quello di Beggiato, un uomo cinico e senza scrupoli, e quello di Contin, che dopo la tragedia dovrà fare i conti con il delicato meccanismo del perdono.
Un tema importante e profondo quello del perdono delle vittime; un tema che l’autore affronta senza filtri, esponendo il lettore alla cruda realtà dei fatti nello stile a cui lo scrittore padovano ha abituato da sempre i suoi lettori.
Vittima e carnefice sembrano a un certo punto scambiarsi i ruoli, ma non è un meccanismo scontato perché in questo romanzo di scontato non c’è nulla. C’è una realtà scomoda con cui fare i conti, c’è una ferita aperta che non si rimarginerà mai più e ci sono uomini veri, protagonisti che attraverso la penna dello scrittore arrivano fino a noi con tutto il loro bagaglio emotivo; a volte fastidiosi, quasi insopportabili, con tutto il loro dolore, la sofferenza, la vendetta, il rancore e persino l’amore. Sì, perché l’umanità e anche questa, malvagia e capace di slanci imprevedibili che solo un maestro del noir come Carlotto sa rendere così vicini a chi legge.
L’epilogo della storia, anche questo imprevedibile, lascia una sensazione di vuoto, di leggerezza, di liberazione ma non di appagamento, perché non ci sono vincitori né vinti, così come nella vita, e tutto sembra scorrere seguendo le regole non scritte del noir.
Un libro da odiare o da amare ma che di sicuro non lascia indifferenti, adatto a chi non teme di provare emozioni forti.