Luce, di Bartalesi e Di Matola
Siamo pezzi sparsi da ricostruire, nell’avanzare stanco; possiamo continuare a rotolare impantanati nel fango di certi luoghi che ci appartengono inconsapevoli, o spingerci oltre, cercando una strada, la nostra.
Luce è così, giovane nel riflesso della sua esistenza, in mezzo a contorni lisi come la canotta di suo padre, che se ne sta seduto in mutande, puzzando di odio e disfatta, interessato soltanto a sputare sulla politica di quei “rossi” da estirpare come male assoluto e con lo sputo lucidare la sola cosa che gli interessi di più al mondo, la sua beretta 9mm, baluardo intorno a cui ruota la sua vita. Luce ha fratelli scomposti e distratti, bigodini di madre che vive l’amore al margine dell’amore.
La provincia stringe, punge di marcio, è un’Italia che muta silente e non cambia mai veramente. Luce ha tredici anni in quel ’78 dipinto realisticamente da Bettina Bartalesi e Gianluca Di Matola, mani perfettamente accordate a comporre, da perfetti registi, il film di una vita che ci scorre davanti agli occhi tra i fogli di un romanzo di vita e riscatto.
Luce (Clown Bianco edizioni) è bianco e nero e rosso; rosso delle Brigate, del sangue di Moro, di “compagni” da riconoscere con lo sguardo; nero di cupi bisbigli, di mani sporche e colpevoli silenzi, e in mezzo alla polvere, brevi sorsi di nuove cose, come la Coca Cola da assaporare di nascosto che apre al buono come è buono restare a guardare Rosetta, e strano sentire palpitare qualcosa che a tredici anni non sai definire.
Luce è corpo e cuore che palpita e forme appena accennate in quel dolore adolescente in cui ti senti ombra, e nel quale nessuno ti chiede nemmeno il nome. Invisibile tra la folla, e diversa, così come senti di essere davanti al jukebox del Bar Gioia, uno dei tanti di quelle tante periferie che si assomigliano troppo, “Generale” canta De Gregori, e dietro la collina vi sono notti assassine che ti spingono a cercare risposte che ritrovi negli occhi di chi è un po’ diverso come te. Il “compagno” Ivan, naso adunco, corpo rinsecchito, gamba traballante, desideri di cambiare il mondo tra i manifesti da attaccare con colla e coraggio; lui conosce risposte e ha sguardi in cui riconoscersi, chiama Luce “piccola guerriera” e le insegna a non arrendersi anche quando quella gamba malata lo potrebbe spingere alla resa, lui resiste e insegna la resistenza: resistenza alla sopraffazione come quella che vince il corpo di Rosetta, violato da uomini-belve feroci; resistenza e protezione e che “ognuno può fare la sua parte”, anche una ragazzina alla quale nessuno chiede nemmeno il nome.
E Luce imparerà a non avere paura di liberare istinti e giustizia nel mondo.
Sull’asfalto rovente, tra le mani quel “ferro”, la ferocia presa in prestito e vomitata fuori in una notte che cambierà la vita. Un bacio resterà sulle labbra, accennato a disegnare e dimenticare, pretendere un destino nuovo da rincorrere, mentre il passato resterà tra la scia di un viaggio e nuovi treni che segnano lo spazio per raggiungere un nuovo domani, un futuro e un posto nel mondo, assolvendo senza mai dimenticare chi ha rubato il tempo. Per raggiungere una nuova esistenza, oltre le feste padronali e il puzzo di vino stanco, un futuro mattone su mattone per alzare un muro e dividere un prima e un dopo di cui non vergognarsi mai. Accettandolo come giusto così.
Luce è giustizia e riscatto, parole da tenere in una prova di scrittura trascinante, avvincente, segnata da pagine in cui davvero si scova la Luce nelle macerie di anime che oltre lo spazio e il tempo un po’ si assomigliano sempre.