L’ultimo viaggio di Amundsen, di Monica Kristensen
Ci sono i viaggi del sogno, della fantasia. Quelli delle letture, delle fiabe e dei film, dei fumetti e dei quadri, della musica ascoltata con gli occhi chiusi. E poi ci sono i viaggi veri, quelli pioneristici e organizzati pensando di calcolare perfino l’ultimo dettaglio che potrebbe rivelarsi fondamentale per discernere la luce della vita dal grigio scuro della morte.
Immaginiamo, allora, come dovevano essere i viaggi del passato. Anche magari non troppo lontano, ma sempre perigliosi perché si trattava delle prime esperienze in mondi difficili, sconosciuti.
Una spedizione al Polo Nord, magari. Nel 1928. A bordo di un dirigibile (che già a far digerire l’esistenza di un tale velivolo a qualche giovincello di oggi, è cosa difficile in quanto sembra preistoria). Aggiungiamoci la voglia di mettersi in mostra da parte di chi vi partecipa, ma ancor di più da parte dei governi dell’epoca, in cui il nazionalismo era diffuso e forte e avrebbe portato alle estreme conseguenze belliche un ventennio più tardi.
Quella del dirigibile Italia, capitanata da Umberto Nobile, avrebbe dovuto essere una spedizione gloriosa da parte del governo Mussolini, l’emblema della grandezza del popolo italiano. Nobile, rivale acerrimo di quell’Amundsen che era stato il massimo esponente tra gli esploratori artici e antartici.
Tutto era stato predisposto affinché l’impresa riuscisse ma, come spesso la storia ci insegna, il destino sa essere più beffardo di quanto non possa diventare nella più sfrenata e contorta fantasia umana.
L’ultimo viaggio di Amundsen, di Monica Kristensen (Iperborea, traduzione di Sara Culeddo) è un libro-documentario che non lascia da parte nessun dettaglio, anche tecnico, a costo di sembrare ridondante in alcune pagine. Si muove in questo mondo, ci trasporta tra gli iceberg, sulle desolate distese di ghiaccio, ci fa percepire il freddo e il disagio dei protagonisti.
Il dirigibile Italia — è storia risaputa — perde quota in seguito a una tempesta e precipita, cozzando col duro ghiaccio e lasciando al suolo la navicella coi suoi occupanti, tra cui anche Nobile. Il pallone, dopo il primo urto, riprende quota e scompare nel cielo. Sulla sua sorte, da questo istante, ci saranno solo ipotesi ancora oggi non chiarite.
Sul ghiaccio, però, rimane bloccato il resto della spedizione. E da questo momento inizia una seconda epopea, quella di chi organizza i tentativi di salvataggio. Queste operazioni, vuoi per il prestigio della eventuale buona riuscita, vuoi per le diverse nazionalità dei coinvolti e per difendere interessi politici e territoriali, diventa una gara tra nazioni — Norvegia, Svezia, Finlandia, Francia, Russia — che porta a impiegare mezzi e risorse nel tentativo, da difficile a improbabile, portare in salvo Nobile e i suoi compagni, in preda agli stenti, all’angoscia dei giorni che trascorrono senza notizie.
Tra questi ipotetici salvatori, la Kristensen cala come un potenziale asso nella manica il leggendario Roald Amundsen.
Amundsen è eroe controverso, amato e contestato, malato ma ancora voglioso di mettersi in luce, di dimostrare di essere ancora grande. S’impegna allo spasimo anche contro difficoltà economiche per correre in aiuto di Nobile, col quale aveva avuto, in passato, scontri di personalità e potere.
La notizia, giunta a Nobile, ne suscita l’entusiasmo, come emerge da questo telegramma riportato nel testo:
“…Immersi nel grande silenzio dei ghiacci, io e i miei compagni qualche giorno fa abbiamo ricevuto una notizia via radio: Roald Amundsen sta venendo a salvarci! Quest’azione generosa del grande eroe polare mi ha commosso profondamente… Attendiamo ansiosi notizie del suo arrivo, non solo nella speranza di essere salvati, ma perché riteniamo grandioso che proprio Amundsen si esponga a tali pericoli preoccupandosi dei nostri destini…”
Il ritratto che emerge dalle pagine del libro è quello di una forte personalità, di un uomo quadrato che sa verso cosa corre, e sa anche che ogni nuova avventura può essere l’ultima.
La Kristensen, bilanciandosi tra pathos e dettagliata ricostruzione storica, riporta fedelmente le cronache e i riferimenti dell’epoca in un testo che sta sopra le parti, che non difende e non accusa ma evidenzia anche le controversie e gli errori umani, l’impietosa ricerca del capro espiatorio. In questo modo, viene lasciato al lettore lo spazio per costituirsi una propria, personale opinione.
Un libro, a mio giudizio, da apprezzare per questo, affrontandolo come un interessantissimo documentario, una testimonianza di un tempo che sembra estremamente lontano e, forse e purtroppo, lo è davvero.