Mascaró, di Haroldo Conti
Col senno di poi, si iniziano a capire tante cose. Che Haroldo Conti, uno dei massimi scrittori argentini dello scorso secolo, volesse configurare nella sua opera quel che si sarebbe verificato in seguito e che lo avrebbe travolto, possiamo però solo supporlo. Di certo, era l’epoca degli anni Settanta e del golpe militare che portò al potere il generale Videla e diede inizio alla vergognosa e imperdonabile pagina oscura dei desaparecidos.
Haroldo Conti fu uno dei sequestrati, probabilmente torturati prima di esser fatti sparire nell’oceano, a causa delle idee politiche di cui non aveva mai taciuto nulla.
Gente che non è mai più tornata alle proprie famiglie, artisti che hanno però lasciato ai posteri qualcosa di più che il proprio ricordo. Hanno lasciato opere immortali, che piacciano o no, opere spartiacque tra un prima e un dopo, intervallo temporale in cui si sono consumate tragedie di cui non è mai possibile dar conto del tutto.
Mascaró, riportato alle stampe in Italia da Exòrma (con traduzione di Marino Magliani) dopo altre edizioni risalenti ai primi anni ’80, è una storia difficile se non impossibile da imbrigliare in un determinato contesto ma gode dalla prima all’ultima pagina di quel percettibile tocco immaginario e il tono scanzonato che ci fa subito amare gli stravaganti personaggi che compaiono, uno dopo l’altro. È una sorta di Cent’anni di solitudine in movimento (non a caso cito Garçia Marquez, autore di una bellissima prefazione in cui ricorda gli ultimi tragici giorni di Conti) anche se il mio è un paragone basato soprattutto sulla musicalità della prosa.
Tutto comincia nella locanda di Arenales, un paese immaginario in cui l’orchestrina trascina l’intera popolazione in attesa dell’arrivo del Mañana, una vecchia nave che deve condurre il protagonista Oreste in un porto che forse non esiste neppure. Entrano in gioco, da subito, personaggi come il Principe Patagón, il cavaliere Mascaró e altri passeggeri fuori dal comune. Il Principe trascinerà, grazie al proprio impeto fascinoso, Oreste in un viaggio con un circo ambulante, Il Circo dell’Arca, tenuto in vita da artisti girovaghi, glorie decadute e personaggi fuori norma. Ognuno di loro, e quindi anche Oreste, lascia ogni legame col passato sfidando l’incerto futuro alla ricerca della propria strada.
L’avventura si dipana in un girovagare assurdo per una terra che sa di deserto, ma anche di cieli infiniti e profumi, suoni e miraggi, attraversando piccoli paesi dimenticati da Dio in cui l’avvento del circo innesca un moto di ribellione, risvegliando coscienze e voglia di libertà.
Il tragitto del circo avviene sotto il sospettoso sguardo dei rurales, di chi deve — a torto o a ragione — mantenere un proprio ordine, tagliando sul nascere ogni pazza vena d’insurrezione, che spesso parte proprio dalla presa di coscienza, dalla voglia di libertà che si fa umana nel canto, nel ballo, nel riscatto del bello dell’arte.
… A Solsona vennero i Rurales, e tornarono a rompere le ossa ad Argimón, che era ormai quasi guarito, confiscarono la sua tenuta di volo, proibirono l’allevamento di passeri e di qualunque uccello capace di spiccare il volo, e si scoparono parecchie donne accusate di favorire quelle pratiche, o anche solo perché sì. Il notaio Bajarlía fu incriminato per abuso di pubblica funzione, diffusione di notizie false e apologia della sovversione, poiché ogni alterazione dell’ordine naturale predispone all’alterazione dell’ordine stabilito. Basilio Argimón, non appena guarito, fuggì saltellando da Solsona e da quel momento visse tra le rupi, come i grandi uccelli…
È un’Argentina descritta con il piglio sanguigno della lettera sudamericana, piena di visioni surreali, poetica e versatile, dove il sogno si fa realtà ma ritorna subito sogno, lasciando in bocca il dolce amaro del risveglio, l’incertezza di troppi quesiti senza risposta e quella musicalità che vibra nell’anima e nella mente. Ma è anche un’Argentina di violenza, di azioni senza senso se non il puro piacere dell’esercizio del potere.
Mascaró si legge con fascino perché è un turbinìo di sensazioni; una prosa ispirata trascina il lettore in una danza che sembra avvenire in uno spazio e un tempo remoto, ma che a guardar bene è più vicina di quanto si pensi.
Conoscendo la sorte amara dell’Autore, però, è obbligatorio leggere con una tensione crescente le pagine conclusive, quelle in cui si scopre — ahimè — il trionfo della violenza e della censura sulla libertà d’espressione delle idee, dei concetti, del proprio credo artistico.
Si tratta però di una vittoria effimera, come tutte quelle che puntano a limitare l’intelligenza e la passione dell’uomo, d’ingabbiare la sua voglia di creare e di seguire la propria strada.
Sarà sempre la memoria a venir fuori, a dipingere anche dopo lungo tempo le reali scene riportando alla luce il talento, la purezza, l’odore e il sapore di una terra e il fuoco dei grandi uomini.
Mascaró. Leggerlo sarà una bella esperienza.