Miracolo in libreria, di Stefano Piedimonte
Cercare la poesia dove questa si è arresa, tenersela stretta quando le cose della vita impongono di smettere, ché con le svolazzate dell’anima non ci paghi le bollette. Trovare poeti dal ruvido aspetto in barbe che incutono timore, trovare un uomo sospeso nell’attesa che si compia ciò che la vita a volte impone: che ti arrenda, che le cedi ogni sogno, ogni levità, perché ti restituisca quello che serve, piedi piantati ben a terra, le scelte più consone, quelle che non fanno “scapuzziare” chi ti sta intorno.
Aldo, in 20 anni imperterriti, ostinati, impolverati, ne deve avere viste di facce cambiare, scegliere, svoltare. Lui è un libraio in quel di Chiaia, il bel quartiere napoletano in cui vede le fisionomie crescere, volti a cui dispenserà consigli e pensieri; come chiunque vive di parole (che nel suo caso devono anche servire per vivere), vede i tempi cambiare, le mode imporsi. Deve decidere.
La polvere sui vecchi screpolati dorsi dei libri accatastati che nessuno legge più… Bisogna svecchiare, adeguarsi; la gente vuole leggere cose pratiche, l’ultimo best seller da variegate sfumature, la ricetta miracolosa per stupire i commensali. Aldo deve cambiare, cambiare vorrebbe dire mutare dentro e fuori, mettersi addosso un colore in cui riconoscersi ancora, Aldo non vuole arrendersi, nessuno vorrebbe arrendersi. Potrebbe aprire una bella pizzeria e smettere di cercarsi allo specchio, quando invece basterebbe così poco… Allora per tracciare nuove forme, Aldo cambia e cerca un modo di adattarsi finché la vita che spesso gioca, non giocherà con l’uomo, i suoi pensieri, le parole, le atmosfere rassegnate dietro l’uscio di casa. Certe volte cerchi solo una piccola crepa capace di restituirti un po’ d’ossigeno, quando una decisione che non sai prendere ti cambierebbe la vita. Non siamo tutti eroi, siamo umani e basta. Aldo e una moglie e un amore silenzioso e rassegnato, “due facce diverse della stessa rinuncia”: la osserva leggere, cercando in qualche modo di riconoscerla e riconoscersi ancora e poi, la vita, quando sei fermo in un sogno di stasi, rimescola le carte…
Il luccichio di uno sguardo sembrerà riportare quell’ossigeno. Tra quegli involucri dispersi e messi da parte come vecchi a cui nessuno chiede più parole, entra improvvisa quella vita, tra il tintinnio di un campanello: un mondo nuovo che s’affaccia e prende gli occhi e scioglie l’anima ghiacciata e fa tornare le tempie a pulsare. Quello sguardo, incorniciato tra cascate di riccioli che imbrogliano i pensieri, si infila tra gli scaffali e cerca qualcosa, porta vita, prende altro. Prende i pensieri di Aldo, che da allora non smette di evocarla. Aspettare, aspettare che ritorni, perché un libro manca e forse è stata lei a prenderlo e quello non è certo un libro a caso: “Il treno mancato”, di tale Giorgio Spinazzi, è il romanzo a cui Aldo è legato da tutta la vita. Edizione così rara, un volume così prezioso, un libro a cui chiedi consiglio in qualche modo in ogni fase della tua esistenza, come quelle colonne sonore che t’accompagnano da sempre, che non perdi mai, che ritrovi accanto, di cui hai bisogno. Un libro in cui leggi le scelte, anche quelle che non saprai affrontare mai. Lo deve aver preso lei, e allora Aldo la pensa a scorrere le righe da lui lette, e lo sente come un modo per sentirla più vicina. Quell’affinità elettiva è solo una fiammella che ti scotta un po’, forse non farà male, ti regala un’illusione di cui hai bisogno, in cui vuoi credere, ti rende quello che mancava, un motivo per alzarti un altro giorno. A te, Aldo, che sei come l’evocazione di un poeta, goffo e disperso nel tentativo di spiccare il volo.
Uno scambio in bilico nell’aria: lei che legge, tu che pensi al modo in cui terrà la testa nel soffermarsi su una frase, un po’ come stare insieme nello stesso spazio, oltre lo spazio, oltre quel letto condiviso con un amore opaco e quasi indifferente. Lei tornerà chiedendo un libro, “Il resto di niente”, e non sarà lettura come tante perchè il resto di niente è il resto di quello che sarà, il resto di un’illusione che rende la vita leggera…
L’autore di questo Miracolo in libreria (Guanda) è Stefano Piedimonte: il poeta fino ad ora immerso nel noir, in altri colori e altre sfumature, oggi ci restituisce la realtà e le sue quotidiane dispersioni. Non c’è bisogno di sangue che scorra per sentirsi morire, non quando tra le dita stringi quel resto di niente, e dopo una vita di affanni devi prendere altre forme e reinventarti. Storia attuale, storia di come si lotti ogni giorno per resistere ad ogni mutazione, ad ogni troppo costoso bisogno, alla crisi che vuota le tasche e prosciuga l’anima, i pensieri, toglie spazio, toglie desideri. Il dolore di tenere a freno tutti i pindarici voli da fantasia poetica col timore di schiantarsi tra i palazzi. Resta in questo bel racconto un senso di malinconia misto a pudore che quasi ci fa chiudere l’ultima pagina piano, immaginando di toccare l’anima dispersa di Aldo, così deluso, così vero, così vivo che si ha paura di ferirlo, o solo intercettare quello sguardo che un po’ ci assomiglia.
Quel “treno mancato”, pensato e composto dall’autore stesso, avrà le scelte che quel libraio forse un po’ invidia, quelle che per tutta la vita resti in un angolo a spiare senza il coraggio di tentare. Quel salto che non farai per tener fede alle promesse, e così sopporti, e ti adegui, e scivoli nel silenzio e scrivi in un taccuino i tuoi pensieri e li chiudi in un cassetto tutta la vita e rimani ad ascoltare quelle parole che ti ricordano la verità, quella più dolorosa: “la malvagità più grande non è quella di chi ti uccide, ma di chi ti ammorba l’esistenza”.
Stefano Piedimonte ci regala questo duplice lavoro costruendo una realtà a metà tra la vita che viviamo e il sogno che vorremmo, e il suo “treno mancato” rassomiglia davvero a quei libri di un tempo che perdiamo tra la polvere, che ritroviamo tra i ricordi, per cui pensiamo che vale la pena sempre avere parole da tenere sotto mano, per dissetarsi quando intorno è tutto troppo arido.